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Il Pakistan, l’India, Dubai: come il cricket insegna la geopolitica

Nel Championship Trophy, torneo internazionale organizzato in Pakistan, buona parte delle partite, finale compresa, si è giocata a Dubai. Ecco perché

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di Nicola Sbetti

Per cogliere a pieno le dinamiche dello sport internazionale, il cricket è senza dubbio uno sport da non sottovalutare in quanto, pur non essendo popolare né negli Stati Uniti, né in Cina e neppure in Russia, ha una sua peculiare geografia ed economia che lo rende particolarmente interessante anche per chi non ne conosce le regole. Inoltre, pur essendo uno sport generalmente associato al conservatorismo britannico e all’ideologia vittoriana, nel corso della sua storia e in particolare negli ultimi decenni, ha dimostrato di avere capacità di innovarsi assai superiori a quelle di molti altri sport di squadra, aprendosi verso quella che Angelo Carotenuto su Lo Slalom ha definito Sportify e incorporando con grande anticipo la possibilità di usare la tecnologia.

Tuttavia il cricket, come molti altri sport fra cui la pallavolo, ha però anche il difetto di aver prodotto un numero eccessivo di competizioni internazionali fra cui il Championship Trophy. Si tratta di un torneo per nazionali nel formato ODI (One day international), in cui ogni undici batte e lancia una sola volta a testa per un massimo di 50 overs (300 lanci validi). Nato nel 1998 con un’altra denominazione, dal 2009 vede partecipare le 8 migliori squadre del ranking suddivise in due gironi da 4 e in cui le prime due squadre di ogni gruppo accedono alle semifinali per un totale di 15 partite. Si tratta di un torneo tendenzialmente quadriennale che in termini pallavolistici può essere paragonato alla VNL e in termini calcistici alla vecchia Confederations Cup, e che al momento è declinato esclusivamente al maschile, ma che nel 2027 vedrà nascere la prima edizione femminile. In sintesi è certamente un torneo prestigioso, perché vede le migliori nazionali sfidarsi per un trofeo, ma non è il Mondiale né l’appuntamento più importante della stagione e in molti casi viene usato anche per inserire in squadra nuovi promettenti giocatori, lasciando qualche veterano a riposo.

Se ne parliamo, quindi, non è tanto per i suoi risvolti sportivi, quanti piuttosto per quelli politici. Quest’anno, infatti, il torneo, cominciato il 19 febbraio, si sarebbe dovuto svolgere interamente in Pakistan, ma ben cinque partite fra cui anche una semifinale e la finale si sono disputate a Dubai. Il motivo è facilmente intuibile per chi si interessa anche solo distrattamente di politica internazionale: l’India.

Fra Islamabad e Nuova Delhi, infatti, non scorre buon sangue fin dai tempi della ripartizione post-indipendenza e dei conflitti sul Kashmir e le tensioni politiche fra i due paesi hanno inevitabilmente finito per riversarsi anche sul cricket. I giocatori pachistani non vengono mai selezionati nel munifico campionato indiano per franchigie (la IPL), le due nazionali non si sfidano in incontri bilaterali dal 2013 e in un test match addirittura dal 2008, tuttavia si incontrano regolarmente in occasione dei tornei organizzati dall’ICC (la federazione internazionale) come i Mondiali e per l’appunto il Championship Trophy e fra i giocatori delle due squadre c’è un reciproco rispetto.

Però, dopo la decisione dell’ICC di assegnare al Pakistan l’organizzazione del Championship Trophy 2025, la Federazione indiana di cricket (BCCI) ha fatto intendere che su indicazione del proprio governo non sarebbe stato possibile per la nazionale indiana andare in Pakistan per ragioni di sicurezza. Eppure questa decisione non si è tradotta in un boicottaggio perché l’ICC è pienamente consapevole del fatto che un qualsiasi torneo senza l’India sarebbe un fallimento economico. Il pubblico indiano rappresenta una massa critica tale da non poter essere ignorata e il peso politico dell’India dentro l’ICC è dominante. Un torneo senza l’India sarebbe stato quindi inaccettabile. Dunque, sebbene ciò sia stato digerito malvolentieri, per non dire subito dal PCB (la federazione pakistana), l’ICC ha deciso che le partite dell’India nel Championship Trophy, non si sarebbero disputate nel paese organizzatore bensì all’International Cricket Stadium di Dubai, negli Emirati Arabi.

Se il Pakistan ha accettato questo compromesso è stato anche perché le prossime sfide fra India e Pakistan nei tornei ICC fino al 2027 si svolgeranno in una sede neutra (quindi potenzialmente: il Mondiale femminile 2025 in India, il Mondiale maschile T20 2026 in India e Sri Lanka), ma soprattutto perché non aveva alternativa.

E così il Pakistan ha dovuto rinunciare a ben un terzo degli incontri per accontentare le esigenze della propria rivale storica, e ha persino subito l’onta di vedere la finale del proprio torneo disputarsi in un altro paese, visto che l’India il 9 marzo sfiderà la Nuova Zelanda nell’incontro decisivo per l’assegnazione del trofeo. Sul piano sportivo, infatti, il Championship Trophy non sarebbe potuto andare peggio per il Pakistan, visto che con due sconfitte nelle prime due partite è stato immediatamente eliminato dalla competizione.

A ben vedere il Pakistan è stato anche sfortunato visto che nelle prime due partite ha affrontato quelle che poi si sarebbero rivelate le due finaliste ovvero la Nuova Zelanda e l’India. Col senno di poi, pur essendo il paese organizzatore il Pakistan ha quindi giocato una sola partita in casa, visto che la sfida con l’India si è svolta a Dubai e quella con il Bangladesh è stata annullata per pioggia.

Tuttavia, per il Pakistan il bicchiere è comunque mezzo pieno visto che è finalmente tornato ad ospitare un torneo internazionale targato ICC dopo i tragici attentati di Lahore. Il 3 marzo del 2009, l’autobus che stava portando la nazionale srilankese allo stadio Gheddafi di Lahore, venne attaccata da un commando terroristico che provocò la morte di sei membri della scorta, di due civili e il ferimento di diversi membri della delegazione srilankese. E da quel giorno per circa un decennio la nazionale pakistana (salvo rarissime eccezioni) è stata costretta ad un lungo esilio negli Emirati Arabi Uniti visto che per le altre squadre mancavano le essenziali garanzie di sicurezza per proseguire le relazioni bilaterali.

Ecco perché, sebbene la squadra di casa sia uscita immediatamente dalla competizione, per il governo di Islamabad, aver dimostrato di essere in grado di organizzare un torneo internazionale di questo livello è obiettivamente un grande risultato. Col senno di poi, la scommessa è stata vinta. A questo bisogna aggiungere che per tutta una generazione di pakistani il torneo ha rappresentato l’opportunità di vedere per la prima volta dal vivo i grandi campioni australiani, inglesi, neozelandesi, sudafricani, afghani e bengalesi.

Senza entrare nel merito sull’impatto ambientale della scelta di disputare un torneo fra Pakistan ed Emirati Arabi, la pretesa dell’India di non mettere piede in Pakistan si è trasformata in un autentico incubo logistico per tutte le altre squadre che al momento di dover fronteggiare l’India dovevano volare a Dubai per poi fare rientro in Pakistan, mentre gli indiani non si sono mai dovuti spostare. Giocare tutto il torneo a Dubai ha offerto un vantaggio competitivo anche per un altro aspetto. Le condizioni atmosferiche e soprattutto quelle del pitch (l’area di gioco in cui avvengono i lanci) hanno un impatto decisivo sull’esito delle partite. Di conseguenza giocare in un unico campo permette ai giocatori di adattarsi meglio a quelle condizioni. Alcuni campi, come ad esempio quelli emiratini, favoriscono i lanciatori ad effetto, mentre altri, come ad esempio quelli pakistani, sono più adatti a quelli veloci. Tenere conto di questi fattori nelle convocazioni e nella selezione dell’undici titolare è fondamentale.

Per queste ragioni nella finale del 9 marzo l’India è la favorita per il trofeo finale, anche se in passato, come nel caso della prima edizione del World Test Championship del 2021, la Nuova Zelanda ha saputo sovvertire i pronostici.

In ogni caso, al di là dell’esito dell’incontro, questa prova di forza muscolare di Nuova Delhi che ha privato i pakistani della “loro” finale ha però anche tolto alla nazionale indiana la soddisfazione di poter provare a vincere un trofeo in Pakistan e di contribuire così a normalizzare, almeno in campo sportivo, le relazioni fra i due Paesi.


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Nicola Sbetti insegna all’Università di Bologna. Si occupa di storia dello sport e del rapporto fra sport e politica. Membro del Consiglio direttivo della Società Italiana di Storia dello Sport.

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.