Lo sport ha capacità evocative straordinarie, non è un mistero. Il meccanismo che portò Eric Hobsbawm a sostenere che «le comunità immaginate di milioni sembrano più reali in una squadra di undici persone», un concetto che su The SpoRt Light abbiamo citato decine di volte, non è molto lontano da quello che ci fa percepire come più reali, e in qualche modo più vicine, tragedie che sono accadute magari a milioni di persone, quando queste accadono ai protagonisti dello sport. La prossima ne è un esempio.
La storia è quella di Samia Yusuf Omar, ragazza nata in Somalia nel 1991, che nel 2008 prese parte alle Olimpiadi di Pechino, nelle batterie dei 200 metri, chiudendo all’ultimo posto la propria gara, con il tempo più alto tra quello di tutte le batterie. In sé, niente di straordinario: il principio che guida le Olimpiadi è quello dell’universalità, non è in discussione ed è uno dei capisaldi dei Giochi, e in questo senso sono stati numerosi gli atleti e le atlete che, nelle varie edizioni, si sono messi in mostra non per i risultati, sicuramente negativi in termini agonistici, ma principalmente per il fatto stesso di essere presenti a rappresentare le rispettive nazioni, spesso estremamente periferiche nel mondo sportivo, riuscendo nell’intento di accedere comunque alla manifestazione a cinque cerchi. La gara della 17enne Samia Yusuf Omar è nel video qui sotto: lo start è al …