di Nicola Calzaretta
Il nuovo anno si è aperto con la notizia della morte di Fabio Cudicini, portiere di lungo corso con Udinese, Roma, Brescia e Milan (voluto da Nereo Rocco nel 1967), per una carriera iniziata nel 1955 e chiusa nel 1972. Aveva 89 anni ed era per tutti il Ragno Nero. Un soprannome da leggenda, nato nella serata inglese del 15 maggio 1969, ritorno della semifinale di Coppa dei Campioni contro i “Diavoli rossi” del Manchester. Cudicini, vestito as usual tutto di nero – il rosso confinato al colletto, ai polsini e al bordo superiore dei calzettoni – fa il fenomeno in una partita che è rimasta nella memoria del popolo milanista e non solo. Il campo è una bolgia, dagli spalti piove di tutto, anche un blocchetto di ghisa che lo mette kappaò. Perde i sensi, arrivano medico e massaggiatore con i sali e gli dicono: «Ha detto il Paròn de non sta’ a fare il mona e d’andare subito in porta». Lo United segna, ma il 2-0 dell’andata porta il Milan alla finale. “Black Spider” scrivono i giornali inglesi a rimarcare la serata di grazia del portiere rossonero e dei suoi centonovanta centimetri abbondanti della sua altezza. Un Ragno Nero con il cuore tricolore, a fare il paio con il grande Lev Jascin, unico portiere ad aver vinto il Pallone d’Oro, anche lui ribattezzato con lo stesso nickname, anni prima.
Ragno Nero quindi, ma anche Longo, nomignolo dialettale che gli affibbia affettuosamente Nereo Rocco, il Paròn per l’appunto, che volle fortissimamente volle il suo conterraneo (triestini entrambi) al Milan nonostante Cudicini avesse 32 anni e fosse in fase calante. In rossonero peraltro c’erano già due portieri: Pierangelo Belli, classe 1944, il titolare e Villiam Vecchi, 19 anni, a far gavetta, ma pronto per il lancio. E invece, come spesso accade nello straordinario mondo del pallone, le gerarchie iniziali, si ribaltano. Complice un infortunio di Belli a metà campionato, Rocco punta sicuro sul suo “vecio”. Il Milan vince lo scudetto e la Coppa delle Coppe. Per il “lungo” portiere triestino si apre una nuova stagione di ritrovata freschezza, arricchita da prestigiosi trofei internazionali. E con quel soprannome che lo porta dritto nel Mito e che a noi suggerisce l’idea di ricordare altri portieri del passato, più o meno famosi, dipinti con il loro nomignolo. E in questo viaggio, ci affidiamo a uno speciale navigatore: “L’Abatino, il Pupone e altri fenomeni”, un libro pubblicato anni fa da Rizzoli per le firme dell’ideatore, il bravissimo Furio Zara e del sottoscritto, suo fiancheggiatore dell’epoca. Si parte per una rassegna a mano libera, senza limiti e confini, pescando direttamente dal dizionario.
UOMO RAGNO. È stato così geniale il portiere dell’Inter Walter Zenga, da battezzarsi una seconda volta, con un soprannome inventato da sé stesso. Fu dopo l’esclusione dalla Nazionale di Arrigo Sacchi, prima dei Mondiali di Usa ’94. Alla fine di una partita, Zenga si presentò in sala stampa e annunciò: «Hanno ucciso l’Uomo Ragno». Era il titolo di una famosa canzone degli 883, e l’Uomo Ragno in questione – ovviamente – era lui. Gianni Brera, invece, l’aveva soprannominato Deltaplano, per i voli da un palo all’altro. Zenga ha giocato dal 1978 al 1999. Prima squadra, la Salernitana. Ultima, il New England Revolution negli USA. Nel mezzo tantissima Inter e lo scudetto dei record nel 1989.
KAMIKAZE. Il romagnolo Giorgio Ghezzi (Inter e Milan, anni ’50), in anticipo sui tempi, e stato tra i primi portieri a esaltarsi nelle uscite sul giocatore avversario lanciato a rete, proprio come un kamikaze. Cosi lo ricordava Gianni Brera nel giorno della sua scomparsa, nel 1990: «Ghezzi dovette fare di necessita virtù, e si guadagnò fama di portiere kamikaze, cioè spericolato fino alla temerarietà. Conoscendolo io benissimo, sono in grado di affermare che era coraggioso due volte, perché in effetti era sensibile fino alla paura: non per altro le sue uscite parevano sempre dettate dalla disperazione».
BAFFO. Paolo Conti, portiere della Roma anni ’70, diplomato, letture impegnate, noto al pubblico per i clamorosi baffi a manubrio, quando ancora i baffi erano legali in Serie A.
GARELLIK. Claudio “Ciccio” Garella, scudettato con Verona e Napoli negli anni ’80, è stato un portiere strano, anomalo, unico nel suo genere. Per dire: parava senza mani. Trovava nella parata improbabile – di culo, con la schiena, persino con la pancia – la sua cifra esistenziale. Non aveva stile, e quello era il suo stile. Eppure… Ai tempi della Lazio, 1977-78, Ciccio Garella ne faceva così tante che era stato soprannominato Paperella (e le sue parate imperfette, divennero le “Garellate”).
GATTO DEL CUPOLONE. Il portiere della Roma Alberto Ginulfi (dal 1962 al 1975). Famoso per un rigore parato, ma mica a uno qualsiasi. In un’amichevole giocata il 3 marzo 1972 Ginulfi fermò il più grande, Edson Arantes do Nascimento detto Pelé. Questi i versi che gli ha dedicato Fernando Acitelli: «In una notte romana / targata Roma-Santos / ti riuscì di carpire / dalla mente di O Rei / l’angolo da coprire. / La curva così esplose / e la Perla Nera / stringendoti la mano, t’annoverò / in quella manciata d’eretici / che non avevano abboccato / alle finte dal penalty».
GIAGUARO. Luciano Castellini, arquero scenografico di Toro e Napoli a cavallo tra i ’70 e gli ’80, il primo importatore dalla Germania dei moderni guanti da portiere, quelli coloratissimi e con il caucciù espanso sul palmo. Nel suo repertorio: movenze feline, balzi spettacolari, cinema puro. Si buttava anche quando non era richiesto, così, per il gusto di farlo e per strappare l’applauso. Con e senza berretto a visiera. Per Gianni Brera era invece Fanfulla. Animo nobile, sensibilità accentuata. Piange sopraffatto dalla gioia il 16 maggio 1976 quando conquista lo scudetto con il Torino.
POETA. È Giuliano Terraneo, l’erede di Luciano Castellini al Torino. Nato in Brianza nel 1953, baffo precoce, si mette in luce nel Monza. Non solo parate e uscite basse, ma anche impegno politico (vota Partito Radicale, siamo a fine anni ’70) e scrive poesie. Per questo viene battezzato Poeta da Vladimiro Caminiti. Che, alcuni anni dopo, lo mette in croce – lui, il Camin, cantore della sacralità della divisa del portiere – per i pantaloncini bianchi che indossa sotto la maglia verde. Horribile visu.
GATTO MAGICO. Il primo Gatto Magico, per i guizzi felini e il colpo d’occhio, è stato il pisano Mario Gianni, portiere del Bologna che tremare il mondo fa tra gli anni ’20 e i ’30. Il soprannome nacque dopo una tournée in Sud America nel 1929, che lo vide protagonista assoluto. Negli anni ’40 Gatti Magici sono stati anche Satiro Lusetti e Leonardo Costagliola, ma soprattutto Aldo Olivieri, il portiere Campione del Mondo nel 1938.
FONZIE. Giubbotto di pelle, jeans, maglietta, scarponcini neri. Pollici alzati e il classico «Hey!»: è Arthur Fonzarelli, per tutti Fonzie. Un pugno e parte il juke-box, tanta roba, ragazzi. Sono i giorni di Happy Days in tv, con Richie Cunningham, Potsie, Ralph Malph e “Sottiletta” Joanie, fine anni ’70. Fonzie segna un’epoca anche per il portiere Giuseppe Zinetti, classe 1958: «Era il 28 gennaio 1979, mia seconda partita da titolare con il Bologna in campionato. Contro l’Inter a Milano. Gioco veramente bene, paro tutto, insomma una domenica perfetta nel più fantastico stadio del mondo. Così, quando la partita finisce, i miei compagni mi vengono incontro per abbracciarmi e io non trovo niente di meglio da fare che alzare i pollici alla Fonzie». Hey!
FUSETTA. Giampiero Combi, estremo difensore juventino che vinse il Mondiale del ’34, era soprannominato Fusetta. Il perché ce lo spiega lo scrittore Angelo Caroli: «Mai atleta dimostrò questa prodigiosa contraddizione: riflessivo nella vita, spregiudicato in campo. Quante volte si era presentato all’arbitro e successivamente fra i pali della porta con la testa o con una mano rotta! “Fusetta”, che in piemontese vuol dire lampo, aveva la rapidità dei felini quando fiutano la preda». Con la Juve in maglia bianca o nera e ampio girocollo in contrasto, vince cinque campionati, quattro consecutivi dal 1931 al 1934. Ai Mondiali di casa fu il migliore, insieme a František Plánicka, il GATTO DI PRAGA, leggendario portiere cecoslovacco, otto campionati vinti con lo Slavia Praga e la finale persa contro l’Italia nel 1934.
CAPITAN FRACASSA. Il portiere anni ’80 Stefano Tacconi visto dal poeta panormita Vladimiro Caminiti. Per via del carattere guascone, allegro, goliardico. Capello riccio, occhio grigioazzurro da fiction, spalle larghe, faccia da schiaffi, pizzetto finto trasandato, svariati chili di gel tra i capelli. Così lo descriveva Caminiti: «Tacconi è un grande, acrobatico portiere nel senso lato dell’espressione, soprattutto quando la sfida si infiamma; nei confronti europei è risultato spesso decisivo dall’alto di una forza e furia atletica prestigiosa, con quel suo stile un tantino gradasso o spaccone pure nel baffo, i crudeli occhi cerulei ironici, che me lo hanno fatto soprannominare “Capitan Fracassa”». Tacconi, sempre per la penna di Caminiti è anche Tarzan.
PALLOTTOLA. Ivano Bordon, portiere all’Inter negli anni ’70 e ’80. Ad affibbiargli il soprannome è stato il compagno di squadra Sandro Mazzola. Da un palo all’altro, esplosivo come una pallottola.
GARY COOPER (della Brianza). Roberto “Bob” Lovati (1927-2011) per la cinematografica bellezza e per le conquiste quando – primi anni ’50 (poi sarebbe andato alla Lazio) – giocava portiere nel Monza.
CAMOMILLA. Se la faceva sotto. Si chiama ansia da prestazione. Dieci minuti al fischio d’inizio, e lui si sentiva male. Angelo Franzosi difese la porta dell’Ambrosiana Inter negli anni ’40 e poi dell’Inter nell’immediato dopoguerra. Più degli attaccanti avversari, poté l’angoscia. Detto Camomilla perché solo con quella il cuore tornava a battere tempi regolari e l’ansia si placava. La scaramanzia era nata il giorno del debutto, appena ragazzino, a Bologna, con il portiere titolare e il vice che si erano entrambi infortunati. Noto anche come Nani e Gatto Nero.
GEDEONE. Gedeone è Carmignani, tanto che molti pensano sia il suo vero nome. Invece si chiama Pietro, è del ’45, ha giocato in porta (anche alla Juve e al Napoli, negli anni ’70) e poi è diventato allenatore (anche vice di Sacchi in Nazionale). Ariedo Braida, suo compagno di squadra a Varese, racconta l’origine del soprannome: «È una storia buffa. In quel periodo, siamo negli anni ’60, a Varese quelli come Pietro, alti e grossi, li chiamavano tutti Gedeone. Gede qua, Gede là, alla fine Pietro è rimasto Gedeone».
CARBURO. William Negri vinse lo Scudetto a Bologna nel 1964. A quel tempo, per i tifosi bolognesi, era già Carburo. Ci sono due versioni. La prima racconta di un giovane William impegnato nel dare una mano al padre, che aveva una pompa di benzina in provincia di Mantova. La seconda versione fa invece riferimento all’espressione dialettale che indica una sostanza infiammabile che fa scoppiare il petardo. Così era Negri, scoppiettante portiere.
ANSONCIN. In veneto “Piccolo angelo”, giocando sull’assonanza con il cognome. È Roberto Anzolin (portiere della Juve anni ’60, poi Atalanta e Vicenza), immortalato nella definizione di Vladimiro Caminiti. Detto anche Pinza e Zanzara.
BELLO. Un bell’uomo Pietro Battara, portiere di Lanerossi Vicenza, Sampdoria e Bologna tra gli anni ’60 e ’70. Il soprannome glielo diede il suo allenatore negli anni rossoblù, Bruno Pesaola, con quel pizzico di veleno tipico del Petisso che a lui preferiva Sergio Buso. Sempre per l’aspetto gradevole, fu ribattezzato anche Fernando Lamas, fascinoso attore degli anni ’50, e Pierone l’Adone.
RICKY. Diminutivo di Enrico, il nome di battesimo di Albertosi, portiere della Nazionale italiana e a lungo rivale di Dino Zoff. Maglie colorate, spettacolare e spericolato, personalità da vendere. E fuori dal campo spazio per le carte, il fumo, le donne e i cavalli. È il numero 1 del Cagliari dello storico Scudetto del 1970. Pochi anni dopo passa al Milan e si fa crescere il baffo e i capelli. Supera i quaranta, accende la stella rossonera, mentre fa lo stesso con l’immancabile Marlboro, prima di inciampare nel Calcioscommesse edizione 1980. È uno dei pochi che, anche nel corso del tempo, ha ammesso le sue colpe.
COCHI. Sentimenti IV, di nome Lucidio. Ha fatto la storia della Juventus. Aveva cominciato a Modena, nel ’38, scrivendo una lettera alla società: «Vorrei giocare in qualsiasi ruolo, va bene anche il portiere». Lo presero in parola. Gioca anche in attacco e non è raro vederlo sul dischetto del rigore avversario. Un giorno si trova di fronte il fratello Arnaldo Sentimenti, per gli almanacchi Sentimenti II. In famiglia lo chiamavano Noci, a Napoli è ricordato come CHERI’, dal titolo di una canzone francese in voga negli anni ’40 che lui spesso canticchiava. Ottimo portiere, grande pararigori, è riuscito a ipnotizzare i migliori attaccanti dei suoi tempi, compresi Piola e Meazza. Tra i pochi che lo hanno battuto dal dischetto, ironia della sorte, suo fratello Lucidio.
TYSON. Per il collo taurino, Angelo Peruzzi, ex Roma, Juventus, Inter e Lazio tra gli anni ’90 e il 2007, tra i più forti della sua generazione, quella nata nei ’70. Per lui, che ha il fisico compatto del rugbista, c’è anche l’etichetta di Cinghialone. Il soprannome glielo dà Angelo Di Livio, Soldatino, suo compagno in bianconero.
LOTHAR. È Adriano Bardin, beffo nero, venti anni di parate (1963-1983) con tanto Lanerossi Vicenza. «Lothar era un personaggio dei fumetti, un principe africano amico di Mandrake: il soprannome mi fu affibbiato da Scali (un compagno che giocava con me nella Nazionale Militare) quando, per recuperare un pallone uscito dal campo, avevo sollevato la rete di recinzione con una mossa di quelle da film kolossal». Chiusa la carriera, Bardin ha preparato molti portieri, compresi quelli della Nazionale dal 2000 al 2004, Gigi Buffon incluso.
BATMAN. Il soprannome è stato affibbiato a Francesco Antonioli e all’ischitano Giuseppe Taglialatela, attivi entrambi a partire dalla fine degli anni ’80.
BUSTER KEATON. Soprannome di Sergio Buso nei tempi bolognesi, metà anni ’70, per via della somiglianza con il grande attore del cinema muto, noto per la maschera imperturbabile del viso. Schivo e riservato, Buso era conosciuto anche come Treccani del Calcio per le sue enormi conoscenze calcistiche.
MEAAA. Giuseppe “Bepi” Casari, portiere dell’Atalanta dal ’44 al ’50, nelle uscite alte urlava: «Meaaa!», cioè “mia”, in bergamasco. Era un bel tipo, il Bepi. Si racconta che durante un’udienza da Papa Pio XII, mentre i compagni della Nazionale si inginocchiavano e baciavano la mano del Santo Padre, il nostro gliel’abbia stretta vigorosamente: «Piacere, Casari».
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Nicola Calzaretta, classe 1969, lucano di nascita, toscano di adozione. Collabora da venti anni con il Guerin Sportivo ed ha scritto decine di libri, uno degli ultimi dedicato a Le cose perdute del calcio. Il primo del 2002, grazie al nostro direttore, racconta la storia di Luciano Bodini e di altri portieri di riserva: Secondo me, una vita in dodicesimo. Perché sebbene amasse Dino Zoff, ha avuto sempre un debole per i suoi secondi, lui che portierino nelle giovanili del Cecina lo è stato per alcune stagioni e che come regalo per gli esami di seconda elementare, chiese e ottenne una divisa da portiere: nera e con le maniche lunghe.