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Lettere a TSL – Il proibizionismo sul doping è davvero una tutela per gli atleti?

In uno sport perfettamente integrato nel sistema capitalistico, in cui dalla performance deriva il ritorno economico, è utopico pensare che la gente non si dopi

Lettere a The SpoRt Light – Pubblichiamo l’interessante intervento di un lettore sulla nostra recente monografia Enhancing dello scorso 4 ottobre, che aggiunge ulteriori considerazioni a un tema centrale nello sport. La prima monografia di The SpoRt Light sul doping risale all’ottobre 2022.

di Ignazio Favaloro

Gentili autori di The Sport Light, in merito all’articolo sugli Enhanced Games, devo dire che, a mio avviso, bisogna allargare il discorso. Il mondo dello sport attualmente è invaso dal doping. Lo si può desumere dal numero di casi, anche solo quelli citati sull’altro articolo delle scuse con cui si sono giustificati gli atleti.

La logica fa pensare che il fenomeno è molto più ampio rispetto a quanto viene scoperto. Se si prende anche in considerazione cosa è successo con la Rusada e Armstrong, si può anche supporre che i modi per ingannare i controlli ci sono. Bisogna anche pensare che, molto probabilmente, ci sono parecchie persone (medici, farmacisti, biochimici, allenatori, ecc.) che lavorano per inventare nuove sostanze e nuovi metodi.

Ora, lungi dal voler fare apologia del doping, bisogna chiedersi se questa situazione tuteli veramente gli atleti e le atlete: una ricerca del metodo o della sostanza più performante in segreto, ha anche un aspetto di ricerca sulla riduzione del danno da assunzione? Mi viene da pensare di no. Un’assunzione invece mediata da regole istituzionali può forse prevedere una ricerca anche in questo senso.

Inoltre, non dover mascherare le sostanze, determinerà una minore assunzione di molecole come i diuretici.

Un ultimo aspetto è anche quello dell’equità: è equa una competizione dove i paesi più ricchi hanno un sistema di ricerca (per quanto occulta) sul doping mentre i paesi più poveri non hanno le risorse e il know how per poter fare altrimenti? 

L’idea del miliardario australiano non è peregrina in sé a mio avviso, semplicemente è la classica provocazione alla Musk, fatta anche per provare a guadagnare.

Ma, a prescindere dagli interessi economici, si insinua in una grande ipocrisia dello sport, quella secondo cui gli atleti dopati sono un’eccezione, mele marce da togliere dal cesto. In uno sport perfettamente integrato nel sistema capitalistico, in cui la performance è l’unico orizzonte e da cui deriva anche il ritorno economico di atleti, società e enti nazionali, è utopico pensare che la gente non si dopi. Gli atleti si sono sempre dopati (basti pensare alla stricnina) e difficilmente lo si potrà impedire in nome di un ideale di sport pulito che è solo ideologico e anche piuttosto ipocrita.

Il proibizionismo in generale non ha mai funzionato e, probabilmente, ha fatto più vittime delle vite che ha salvato. Forse è arrivato il momento che anche lo sport se ne renda conto.