La storia delle coppe europee, escludendo la Champions League, già Coppa dei Campioni, che ha visto non solo cambiare nome ma nel tempo anche formato, arrivando a quello di oggi, è una storia di trasformazioni. E se fino agli anni Ottanta la parola d’ordine era inclusività con una suddivisione oggettivamente meritocratica dell’accesso, l’anima capitalistica ha poi preso il sopravvento e tutto quello che è venuto dopo è sempre stato in funzione di più partite, più diritti televisivi, più soldi dal market pool, dagli sponsor e dal merchandising. Una volta chi vinceva il campionato andava in Coppa dei Campioni, la coppa nazionale in Coppa delle Coppe e poi, a seconda del ranking continentale, chi si era classificato meglio nei rispettivi tornei accedeva alla Coppa UEFA; oggi è tutto diverso.
E se l’attuale Europa League è il frutto di più cambiamenti, la Conference, orfani della Coppa delle Coppe, abolita all’alba dei Duemila – perché considerata poco remunerativa –, è stata il contentino a tutte quelle federazioni che si sentivano escluse dalla ribalta continentale; considerando che con la caduta del Muro di Berlino e la nascita di nuovi stati si è allargata anche la platea UEFA, alla quale il governo del calcio europeo doveva delle risposte. Anche il fair play finanziario avrebbe dovuto portare più democratica partecipazione, ma in realtà ha cristallizzato le ricchezze mantenendo tutto com’era prima, cambiare tutto per non cambiare niente.
L’antesignana dell’Europa League è stata la Coppa delle Fiere, vinta dalla Roma nel 1961 e persa due volte in finale dalla Juventus contro Ferencvaros e Leeds United. Dal 1971 sostituita dalla Coppa UEFA, sostituita a sua volta nel 2009 dall’Europa League.