Tackle

L’Italia si annoia!

Se non vogliamo continuare ad avere bambini che non si divertono negli allenamenti, calciatori che si annoiano giocando le partite e pubblico che si annoia guardandole, è arrivato il momento di avere il nostro piccolo Sessantotto calcistico

di Guglielmo De Feis

L’affermazione perentoria, “La Francia si annoia!”, comparve il 15 marzo 1968, sulle colonne del quotidiano francese Le Monde nell’articolo intitolato “Quand la France s’ennuie…” (quando la Francia si annoia) scritto da Pierre Viansson-Ponté. Successivamente agli eventi del maggio ’68, giornalisti, scrittori e storici francesi ricordarono spesso la splendida sintesi di questa frase, che descriveva, brevemente ma fedelmente, la monotonia e il tetro grigiore uniforme del periodo storico che andava dalla fine degli anni cinquanta a tutti gli anni sessanta, in Francia.

Nonostante la prosperità economica e l’apparente tranquillità della vita quotidiana, un sentimento di stagnazione e di profonda insoddisfazione pervadeva diffusamente la società francese prima del Sessantotto.

Oggi nel calcio italiano esiste una situazione simile. A fronte di un consistente miglioramento nel ranking UEFA – quello che ha consentito la qualificazione di ben cinque squadre in Champions League –, di un lusinghiero report sul valore della Serie A da parte dell’International Federation of Football History & Statistics (IFFHS) e, in definitiva, perfino dei risultati della nostra Nazionale (vincitrice tre anni fa dell’Europeo), il calcio italiano pare invece perennemente in stagnazione.

Gli stadi sono disastrati e inadeguati nella grande maggioranza dei casi; dai settori giovanili escono raramente i talenti a cui il pubblico italiano era abituato fino agli inizi degli anni Duemila; le squadre di club quasi mai ottengono risultati brillanti, e men che meno vittorie, nei trofei internazionali; il pubblico televisivo è in calo ed è molto insoddisfatto del prodotto, offerto oltretutto a prezzi esorbitanti.

Potrebbe essere arrivato il momento di chiederci se come nella Francia di quasi sessant’anni fa il problema non sia altro che la noia. “Gli Italiani si annoiano” – verrebbe da dire – ma seguono il calcio solo come atto di fede nel solco della loro tradizione culturale e familiare.

La noia – diffusa nella società e nella cultura francese a più livelli – era rappresentata, descritta e, in definitiva, anche criticata, in ambito artistico. 

Il cinema della Nouvelle Vague, con grandi registi come Truffaut e Godard, grazie ad una serie di volute scelte stilistiche (tempi morti, scene apparentemente insignificanti) rappresenta plasticamente la noia, al contempo sfidandola e criticandola implicitamente.

Il calcio di Maurizio Sarri e Roberto De Zerbi, sembra in un certo qual modo operare un segno di rottura nei confronti della tradizione calcistica italiana. Le loro scelte stilistiche – ripetitività dei movimenti dei calciatori, schematizzazione maniacale del modo di giocare – sembrano essere decisamente ispirate a una forma di rappresentazione-reazione nei confronti della latente noia esistente nel calcio italiano, quella che trapela da editoriali, articoli, interviste, commenti e pareri.

Anche la preferenza per calciatori bravi – ma mai stelle di prima grandezza – con il dovere di essere funzionali per le idee e gli schemi degli allenatori, sembra corrispondere alla scelta di attori non professionisti da parte dei registi della Nouvelle Vague del cinema francese.

Altro tratto in comune tra la Nouvelle Vague e quella degli allenatori del calcio italiano è l’autorialità di entrambe le figure: quella del regista e quella dell’allenatore. Sia l’uno che l’altro sono gli autori (del film e del gioco della squadra); la visione di entrambe le opere (il film e il gioco) è l’espressione personale del regista o dell’allenatore; la sceneggiatura (nel caso del cinema) e gli schemi di gioco (nel caso del calcio) sono costantemente sotto la supervisione di entrambi, che possono adattare l’una e gli altri alla loro personale visione.

L’impatto culturale è stato in entrambi i casi molto forte. L’autorialità ha contribuito a creare una nuova cultura cinematografica in Francia a suo tempo e una nuova maniera di percepire il calcio, in Italia oggi. Hanno influenzato non solo la produzione (cinema) e la maniera di giocare (calcio) ma anche la critica e la percezione pubblica sia del cinema sia del calcio.

Per quanto riguarda il contesto sociale, in relazione al tema della “noia” sia nella società francese degli anni ’60, sia nel pubblico calcistico italiano di oggi, l’enfasi sull’autorialità può anche essere vista come una reazione alla standardizzazione e al conformismo percepiti nella cultura mainstream. E non c’è dubbio che nel calcio italiano, il mainstreaming fosse quello della ricerca del risultato e non quello di una certa forma nel gioco.

Solo in pochi hanno il coraggio, la personalità e la credibilità per affermare pubblicamente che il calcio di oggi sia noioso e ripetitivo.

Bisogna essere Michel Platini per poter dire pubblicamente che di questo passo, tra poco, arbitro e allenatore saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale, sicuramente superiore a qualsiasi intelligenza umana nel prendere decisioni processando dati in tempo reale.

Solo Jorge Valdano può scrivere editoriali – grazie alla sua doppia veste di ex campione e di intellettuale – nei quali critica la mancanza di libertà decisionale dei calciatori in campo, costretti a eseguire giocate già previste in sede di match analysis, scelte dallo staff tecnico e ripetute in alienanti sessioni di allenamento.

Solo Roberto Baggio è al di sopra di ogni sospetto di ignoranza o superficialità calcistica tanto da potersi dire annoiato da un gioco, oggi basato su consistenza, efficienza e velocità: “il calcio è fantasia, non geometria” il suo grido di rabbia.

È necessario che sia Fabio Capello – dall’alto del suo impressionante curriculum sportivo – ad affermare, finalmente e perentoriamente, che “il possesso palla in sé non vuol dire assolutamente nulla”.

Grazie a Carlo Ancelotti, infine, un altro soggetto che è inattaccabile per la sua magnifica storia sportiva personale, è stato ribadito che “troppe informazioni date dagli allenatori sono nocive alle scelte di campo dei calciatori”.

Oggi ogni calciatore in campo è, prima ancora che soggetto pensante, un “impressionante produttore di dati”: tocchi, recuperi, passaggi, palle perse o recuperate, metri percorsi, spazi di campo occupati. Gli allenatori richiedono nel loro staff uno o più match analyst, gli esperti in grado interpretare questa mole di informazioni. Con la loro ermeneutica, i match analyst offrono agli allenatori le soluzioni matematiche ai problemi che si presentano a una squadra durante una partita di calcio. 

I problemi però – proposti in questa forma – possono essere solo matematici, scientifici o pratici e richiedono, per definizione, una risposta che può essere raggiunta solo seguendo un processo sistematico. Ecco allora che, dopo il confronto con il suo staff, l’allenatore proporrà ai suoi giocatori un gioco metodico, basato su un superiore numero di passaggi, su più metri percorsi, su una più alta intensità di ritmo e con una maggior velocità di trasmissione della palla.

Non si pensa mai, incredibilmente, che invece una partita di calcio non sia un insieme di problemi matematici, ma un insieme di enigmi da risolvere. Questi ultimi, non avendo una soluzione diretta, richiedono il pensiero laterale oppure un’interpretazione fuori dagli schemi. Sono a tutti gli effetti una sfida mentale che stimola curiosità e immaginazione. 

Pensiero laterale, interpretazione fuori dagli schemi e immaginazione sono le caratteristiche del campione. La curiosità è quella che stimola i bambini nella ricerca del miglioramento e dell’apprendimento.

L’epoca del calcio quantistico e numerico, almeno in Italia, deve finire. Se non vogliamo continuare ad avere bambini che non si divertono negli allenamenti, calciatori che si annoiano giocando le partite e pubblico che si annoia guardandole, è arrivato il momento di avere il nostro piccolo Sessantotto calcistico: una forma di ribellione alla noia.


Leggi tutte le puntate di Cultural Intelligence