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Calcio come rappresentazione teatrale o come rituale sacro?

Al Mondiale del 2022 Luis Enrique paragonò la partita di calcio a uno spettacolo teatrale, teorizzando il dovere morale per gli allenatori di far giocare la loro squadra col fine del divertimento degli spettatori, a prescindere dal punteggio

di Guglielmo De Feis

Durante il Mondiale del 2022, il commissario tecnico della Nazionale spagnola, Luis Enrique, sul proprio profilo Twitch, consigliò agli allenatori di cambiare il loro modo di intendere il calcio. Per l’importanza, sia dell’occasione sia dell’autore, le parole pronunciate da Luis Enrique, ancora oggi a distanza di quasi due anni, vengono spesso citate come un mirabile esempio di educazione sportiva per giovani calciatori e di pedagogia calcistica per allenatori esordienti.

Luis Enrique paragonò la partita di calcio a uno spettacolo teatrale, teorizzando il dovere morale per gli allenatori di far giocare la loro squadra col fine del divertimento degli spettatori, a prescindere dal punteggio. In pratica: difendere il risultato sarebbe un interesse egoistico del solo allenatore, mentre l’interesse del pubblico sarebbe quello di “divertirsi” vedendo un gioco offensivo e libero dallo scopo della vittoria.

Diversamente che in teatro, peraltro, nel calcio il protagonista e l’antagonista non hanno l’obbligo di recitare lo stesso copione. Amleto uccide Claudio e Otello non uccide Iago, nelle due opere di Shakespeare, senza che vi sia la possibilità di interpretazioni diverse da parte degli attori. D’altra parte, a teatro, il pubblico nemmeno si aspetta finali a sorpresa e diversi da quanto previsto, mentre è proprio l’incertezza sull’esito finale ad appa…