di Guglielmo De Feis
Quando nel 2018 l’IFAB (International Football Association Board) ha definitivamente approvato il VAR (Video Assistant Referee) il mondo del calcio si è creduto proiettato nel futuro, uscendo dalla giustizia medievale basata sulla soggettività umana (quella dell’arbitro) per approdare alla scientificità oggettiva, appoggiata su solide basi tecnologiche (quelle del VAR appunto). I tifosi di calcio italiani – da qualche mese a questa parte – hanno grande dimestichezza con due acronimi inglesi, che definiscono altrettante fattispecie calcistiche prese sistematicamente in esame da arbitri e “varisti”.
SPA (Stop a Promising Attack, ovvero interruzione di un attacco promettente) e DOGSO (Denying an Obvious Goal-Scoring Opportunity, ovvero negare un’opportunità da gol evidente) avrebbero dovuto, nelle intenzioni dell’IFAB, fornire un criterio decisivo e oggettivo per stabilire se e quando ammonire o espellere un calciatore. Dal punto di vista semantico eppure sia il concetto di “promettente” sia quello di “evidente” richiedono una valutazione – soggettiva e tempestiva – che li definisca, essendo basati su un giudizio personale, quello che in Italiano definiremmo appunto un criterio “arbitrario”. Difficile pensare che l’oggettività del Var, in questo caso, possa essere di aiuto.
In un articolo dal titolo “L’antilingua” – pubblicato sul quotidiano «Il Giorno», il 3 febbraio 1965 – Italo Calvino definisce quello che chiama terrore semantico, presente nei verbali dei carabinieri e della polizia.
Lo scrittore immaginava che un brigadiere, dovendo verbalizzare una testimon…