Quando, nell’aprile del 2021, al momento dall’apparentemente suicida coming out della Superlega (che invece, riletto due anni e mezzo dopo, ha rappresentanto il pretesto prodromico a una sentenza storica), tra i principali finanziatori del progetto di allora uscì il nome della multinazionale finanziaria newyorkese JP Morgan, la crociata tra il “calcio del popolo” e il “calcio dei ricchi” – per utilizzare le discutibilissime categorie di allora (che la Uefa peraltro replica ora) – fece in modo che si prendessero in scarsa considerazione i motivi e gli interessi che avevano convinto la stessa JP Morgan. Allo stesso modo, in pochi considerarono qualificante l’origine geografica della multinazionale, in una prospettiva di geopolitica sportiva. Insomma: il tema era un altro, la crociata era un’altra, e non c’era tempo per valutare il resto. Ebbene: sul resto, oggi, vale la pena di unire i puntini.
Ciò che ne esce è il disegno di una strategia, di un piano che è tutto fuorché improvvisato. Attualmente il calcio assiste, con un certo sospetto ma con enorme appetito per i denari entranti, a quella che può essere considerata una sorta di scalata dei Paesi del Golfo sul pallone continentale e internazionale in generale (i Mondiali di Qatar 2022 e quello pressoché certo dell’Arabia Saudita 2030, le supercoppe italiana e spagnola in Arabia Saudita, la prossima sponsorizzazione che legherà la Fifa ad Aramco, la compagnia petrolifera nazionale saudita, sino al 2034), ma gli Stati Uniti, certo con minore clamore, nell’ultimo lustro hanno lavorato su una strategia che concentrerà a tappeto sugli Usa l’attenzione degli stakeholder del calcio a breve-medio termine e che, però, avrà soprattutto effetti in futuro, una strategia nella quale non manca nulla. I fronti aperti sono diversi: quello interno, quello internazionale e, di base, quello economico. Il calcio internazionale, nel prossimo triennio, avrà come fulcro g…