Su una cosa, una su tutte, Roberto Mancini ha ragione: a un allenatore non si tocca lo staff. Non esiste. A meno che non vi siano motivi gravi, e non è questo il caso, semplicemente non si fa. Ma tra gli errori, le opere e le omissioni di Gabriele Gravina, presidente federale che nel giro di una decina di giorni è stato capace di perdere per dimissioni sia il commissario tecnico della Nazionale maggiore maschile che l’omologa in carica nella Nazionale maggiore femminile, questo rappresenta appena una minima parte di una gestione del calcio italiano fortemente deficitaria, a meno che non si vogliano guardare solamente i risultati economici del Club Italia. Perché il movimento calcistico italiano, dal 2018 a oggi, non solo non ha invertito una tendenza che lo vedeva perdere posizioni, ma ha accelerato la velocità di discesa sul piano inclinato. Il tutto, curiosamente, mentre il suo presidente federali otteneva poltrone e risultati che è già pronto a rivendicare.
Ecco, partiamo da qui: perché Gravina non si dimette, si domandano un po’ tutti? Questo è ciò che ha risposto lo stesso presidente federale:
Non sono i detrattori che votano e io continuo a lavorare per il bene del calcio italiano. Io devo rispondere alla gente che continua a darmi fiducia, che crede in quello che stiamo facendo. Quando verrà meno questa fiducia, andrò via. Ma fino a quando questa fiducia ci sarà, io andrò avanti per la mia strada.
Se mi dimettessi, farei un disastro sotto questo profilo. Quindi, mi chiedo: è un atto di responsabilità? Ha senso?
In realtà, Gravina non si dimette, e non ha nessuna intenzione di farlo, perché è a un passo dall’ottenere un risultato che, nella logica di un presidente federale, vale una medaglia: l’assegnazione di un Europeo, quello del 2032, che avverrà ufficialmente a ottobre. Poi pazienza se il progetto inizia…