Si dice che tutto è bene quel che finisce bene, e in questo senso, dopo mesi di polemiche, quando la Rai ha annunciato di avere acquisito i diritti di trasmissione multipiattaforma del Mondiale di calcio femminile di Australia e Nuova Zelanda, ha fatto esattamente il dovere di una tv di Stato finanziata – certo non esclusivamente – dal canone: mettere a disposizione gratuitamente uno degli eventi sportivi femminili più rilevante dell’anno. Poi, però, vale anche la pena mettere da parte tutte le ipocrisie del caso: ora il Mondiale femminile va guardato, per non ridurre a finta indignazione le polemiche di cui sopra.
Il discorso è presto detto: che per una tv di Stato sia doveroso, se possibile, accaparrarsi i diritti di una manifestazione del genere, è pacifico, ma il ragionamento di qualunque azienda – ci è stato imposto a forza di capitalismo; non è la visione di The SpoRt Light, che in questo mondo tenta di sopravvivere a fatica – è che poi il prodotto acquistato deve rendere. E va da sé che un Mondiale femminile, che di suo – parola di Gianni Infantino – ha cifre di ascolto che sono il 50-60% di quello maschile, che non attira spot come quello maschile e che, per giunta, si svolge a orari televisivamente pessimi per l’Italia (con le partite di mattina), non possa contare su un contesto poi così favorevole al cospetto di un qualsiasi professionista il cui lavoro è quello di mettere assieme un palinsesto.