di Guglielmo De Feis
La vicenda relativa alle sanzioni nei confronti della Juventus da parte della Giustizia Sportiva si è conclusa con un patteggiamento ex articolo 127 del Codice (CGS), quello che non richiede l’ammissione di colpa. L’intera vicenda, con tutto il suo clamore mediatico, ha involontariamente dimostrato il paradosso di un’anacronistica percezione – molto tribale e poco giuridica – del concetto di “giusto” all’interno del mondo del calcio.
Mentre infatti, da un lato, l’introduzione della tecnologia in campo ha instillato nelle menti dei tifosi l’idea che fosse possibile ottenere arbitraggi “scientificamente giusti” (un autentico ossimoro) dall’altro, un’applicazione di sanzioni di punti fluttuanti, a seconda dei diversi gradi di giudizio – con richieste del pubblico ministero e poi, successivamente, con le sentenze dei tribunali sportivi – ha offerto l’idea opposta di una giustizia da applicare tribalmente per il nemico, ma da interpretare magnanimamente per gli amici, secondo la celebre frase al riguardo, di Giovanni Giolitti.
Terrorizzati dall’idea della malafede o della sudditanza psicologica dell’arbitro, considerato evidentemente capace delle peggiori nefandezze in nome della discrezionalità sul campo, i tifosi italiani (cittadini di una cultura giuridica ultramillenaria che sottopone anche il giudice alla legge scritta), hanno particolarmente gradito l’introduzione del VAR, come segno di equità, civiltà e progresso.