Stielike

I migliori Gianni

Sommersi da urlatori, provocatori, falsari e osannati campioni della professione in base alle classifiche di e-Trenders, dovremmo ricordarci che non basta una grande agenda per fare un Gianni Minà

Gianni Mura è morto nel marzo 2020, Gianni Clerici nel giugno 2022, Gianni Minà pochi giorni fa, nel marzo 2023. Non vogliamo qui fare coccodrilli, il genere degli obituaries non è il nostro, i nostri eventuali ricordi dell’uno o dell’altro non hanno davvero nessuna rilevanza, parlare di noi per parlare di loro meno che mai, né riteniamo che vi interessi.

Piuttosto, la coincidenza dell’addio di tre dei migliori Gianni del nostro giornalismo, ognuno a suo modo, nell’arco di tre anni, ci invita a una riflessione professionale, leggendo anche migliaia di righe che sono state scritte per ricordarli da penne certo migliori delle nostre e anche da diversi lettori. Al netto di chi, nel momento della morte, si dimentica di avere magari dileggiato questo o quello in passato, nella filigrana di certi ritratti traspaiono alcuni aspetti legati proprio a un modo di fare giornalismo. Qui non si parla tanto della qualità del lavoro, della specificità di ciò che hanno scritto, del periodo del mestiere che hanno vissuto e delle loro vicissitudini professionali, peraltro in un ecosistema giornalistico (dal punto di vista industriale) ormai sostanzialmente estinto; si parla casomai di aspetti ormai totalmente fuori moda come educazione, moderazione, continenza.

Siamo assuefatti a, perché sommersi da, urlatori, provocatori, capiscer d’ogni guisa, da

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.