di Andrea Koveos
Lo sport professionistico, in cui per intenderci si percepivano compensi, ha origini antiche. Fin dalle origini dei giochi, gli atleti ottenevano sempre dei doni, talvolta anche considerevoli. Non diciamo come i moderni ingaggi di calciatori celeberrimi ma poco ci mancava. Ai tempi di Solone venivano elargite 500 dracme (per intenderci ci si potevano acquistare 500 pecore). In epoca romana c’era perfino una tabella dei premi, una specie di tariffario, con cifre che partivano appunto da 500 dracme fino ad arrivare anche a 6mila dracme nel caso di un Messi ante litteram. Cifre davvero importanti se consideriamo che la paga di un soldato romano variava dalle 200 alle 300 dracme.
Ma anche in epoca antica non mancarono le esagerazioni: una città dell’Asia Minore pagò 30mila dracme un vincitore olimpico per convincerlo a partecipare ai Giochi locali. Parliamo di una sola partecipazione!
In ogni caso oltre al denaro i premi potevano consistere anche in benefici pratici, come esenzione dalle tasse, pensioni e perfino posti d’onore nelle rappresentazioni teatrali. Immaginate come se per ingaggiare Kylian Mbappé, un club gli proponesse una pace fiscale per qualche anno, un vitalizio e perfino biglietti gratis per l’Opéra national de Paris con una poltrona accanto a quella del presidente Macron.
Al di là dell’aspetto materiale c’è da dire che la premiazione dei vincitori costituiva uno dei momenti più importanti per l’atleta. Gli amici del vincitore, durante il corteo trionfale, cantavano il Kallinikos, un breve inno in onore di Eracle che veniva scandito e ripetuto tre volte: l’antesignano coro da stadio appunto. Che poi l’atleta vincitore fosse considerato com…