Stile «I just want to say, congrats for your career. I heard it is going to be your last Wimbledon. So good luck for the rest of your beautiful life, and congrats»: intervistato da Sue Barker dopo la vittoria al Queen’s, Matteo Berrettini ha voluto aggiungere questo saluto alla giornalista della Bbc (e già vincitrice del Roland Garros nel 1976), prossima alla pensione. In un mondo e nello sport d’élite disabituati all’educazione e all’empatia, avremmo bisogno di più Berrettini. Certo, i critici sedicenti politicamente scorretti diranno che è facile essere così dopo una vittoria, ma è una sciocchezza: esistono pessimi vincenti e terribili perdenti, in Italia soprattutto, dove si innalzano statue mediatiche soprattutto a cialtroni e cafoni.
Cloro Due ori, cinque argenti e tre bronzi all’Europeo di scherma di Antalya, una messe di medaglie e primati anche mondiali alla rassegna iridata di nuoto di Budapest in vasca lunga, quattro ori (alcuni storici) e quattro argenti all’Europeo di ginnastica ritmica di Tel Aviv: l’Italia sembra ancora vivere sull’onda lunga dell’estate scorsa e dei Giochi Olimpici che tante soddisfazioni hanno regalato al nostro sport. Al di là del cronico disinteresse mediatico, soprattutto nel nuoto non deve passare inosservato come i risultati azzurri principalmente in vasca da 50 metri (e anche nel nuoto paralimpico) giungano in un contesto tutt’altro che favorevole, se si pensa per esempio alla penuria di piscine olimpioniche al coperto. Eppure di nuovo si conferma come la capacità trascinante di fuoriclasse di impatto anche comunicativo – come era stata Federica Pellegrini – alimenti positivamente la crescita di una generazione (Ceccon è un 2001, Martinenghi un 1999,