Monografia

Orgoglio e pregiudizio

Quello tra sport e omosessualità non è più un tema tabù, ma le resistenze esistono e i media hanno più di una responsabilità nell'abbattere o creare barriere

Siamo ancora fermi lì, al concetto di convenienza. A cosa convenga maggiormente e, sebbene il discorso non si possa sottovalutare, l’errore è nella prospettiva e la prospettiva è tutto. Nel merito: nella settimana della giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (era martedì 17), quando alcune testate si sono colorate di un arcobaleno di facciata e proprio nel giorno in cui Jake Daniels, giovane attaccante del Blackpool, ha segnato il tempo con il primo coming out di un calciatore professionista nel pieno dell’attività, diverse analisi si sono concentrate sulla convenienza del gesto. Che è certo un tema, ma forse non è il modo per affrontare la situazione.

Perché la risposta, banalmente, è ancora no, ma quando si parla di sport – sport di squadra principalmente – e omosessualità (e di omosessualità in genere, perché lo sport non è un mondo a parte) a essere sbagliate sono le domande e i media, qui, hanno responsabilità enormi. E per questo, prima di entrare nello specifico, ha senso concentrarsi su quelle che, almeno in Italia, sono le domande, quelle attraverso le quali si costruisce il racconto. Non sono passate molte settimane da un’intervista di Sofia Goggia al Corriere della Sera (ne accennammo in Stielike) in cui la sciatrice rispose a una domanda che chiedeva se ci fossero omosessuali tra gli atleti. Domanda abbastanza inutile se posta in questi termini, considerando che statisticamente sarebbe assai improbabile non ce ne fossero. Sì, certo, e allora? Ebbene, Goggia inforcò.

E…

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.