Immagine di copertina: ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv / Fotograf: Sonderegger, Christof / Com_L23-0644-0003-0010 / CC BY-SA 4.0, CC BY-SA 4.0
Those were the days, my friend
We thought they’d never end
We’d sing and dance forever and a day
We’d live the life we choose
We’d fight and never lose
For we were young and sure to have our way
Those were the days, Mary Hopkin, anno 1968: quelli eran giorni – che poi, oltre a essere la traduzione, fu anche il titolo della versione italiana; e dire che tutto nasce da un brano popolare russo degli anni Venti dello scorso secolo… – e in una linea, we’d fight and never lose, sembra esserci molto del periodo che, nell’immaginario collettivo, sta vivendo l’atletica leggera italiana da qualche anno a questa parte, un periodo che ne ha riscritto la storia. Lo ricorderemo a lungo in futuro: questi eran giorni.
Tutto è cambiato una domenica di inizio agosto, proprio il primo agosto, di quattro anni fa, perché quello che da più parti è stato definito il giorno dei giorni dell’atletica italiana, vedere un ragazzo con la maglia azzurra, Jacobs, vincere l’invincibile, cioè i 100 metri piani olimpici, la gara regina dello sport, ha cambiato tutto. Una prestazione individuale, certo nel contesto di un’edizione olimpica straordinaria per l’Italia, ma siccome mai un italiano era entrato prima in finale olimpica nei 100, quello è diventato un momento epocale: dove eravate quando un italiano diventava l’uomo più veloce del pianeta? Il livello, per quanto possa apparire retorico, è questo. Vero o meno, in quel momento l’atletica italiana – che aveva appena festeggiato anche l’oro di Gianmarco Tamberi nel salto in alto – ha capito che tutto era possibile, letteralmente tutto, e la profezia si è autoavverata, recentemente, in diverse occasioni, tra Mondiali, Europei e un movimento che aumenta nei numeri anche a livello d…