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Senza volontari niente sport

Lo scorso settembre è iniziata la campagna per il reclutamento in vista dei prossimi Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina, chiamato Team26

di Antonella Bellutti

I volontari non sono remunerati – non perché non valgono nulla ma perché sono inestimabili! Non si sa a chi rivolgere gratitudine per questo aforisma rimasto anonimo ma certamente sappiamo chi dovrebbe farlo: il grande mondo dello sport senza volontariato non esisterebbe. Lo scorso settembre è iniziata la campagna per il reclutamento in vista dei prossimi Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina, chiamato Team26; l’obiettivo è selezionare 18mila persone che saranno parte integrante dello staff che consentirà il funzionamento dell’enorme apparato organizzativo. Ai Giochi estivi di Parigi 2024 i volontari coinvolti erano 45mila in un rapporto di circa quattro volontari per atleta; nei prossimi Giochi invernali sarà di circa 1 a 7 e la cosa si spiega in parte con la grande estensione del territorio da coprire e l’elevato numero di campi e zone di gara.

L’essenziale invisibile agli occhi sono loro, lo stuolo di appassionati, di coloro che vogliono mettere a disposizione tempo e competenze. Sono i visi, i sorrisi, la gentilezza che fanno la differenza tra un evento e una gran bell’evento: perché si, contano i risultati, le emozioni, le medaglie ma poi, ciò che tutti ricordano è se i trasporti hanno funzionato, se si mangiava bene, se era facile avere informazioni e se dentro il gigantismo olimpico pulsavano i sentimenti degli esseri umani. E per muovere e mettere vita dentro la grande macchina organizzativa servono loro: “no volunteers no games”, è questa la regola fondamentale che regge le grandi manifestazioni.

Qualcuno storce il naso per lo squilibrio tra denaro pubblico investito e guadagni degli stakeholders il cui ponte sono proprio i volontari, ma ci sono alcune attenuanti a questa stropicciatura: a partire dall’impressionante numero di persone necessarie alla fattibilità dell’evento che confligge con la possibilità di una qualsiasi, anche simbolica, remunerazione. Poi c’è la spesa che ogni volontario comporta in termini di assicurazione, divisa, vitto, trasporti, formazione. L’alloggio no, ogni volontario deve arrangiarsi e spesso, l’incrocio tra le candidature e i selezionati, oltre che sulle competenze si basa proprio sull’area geografica in cui il volontario dichiara disponibilità (in base alle proprie autonome risorse). Poi c’è il fatto che è una possibilità straordinaria per chi vuole vivere i Giochi da dentro, contribuire alla loro realizzazione, sentirsi parte di quel mondo di valori in cui crede e che vuole aiutare a diffondere.

Nonostante l’importanza delle motivazioni che sostengono il volontariato sportivo, non sono molte le ricerche svolte: una di queste, è stata realizzata in occasione dell’Universiade invernale Trentino 2013 (l’Universiade oggi rinominata in Giochi Mondiali Universitari è il più grande evento multidisciplinare dopo i Giochi Olimpici e ne ripropone la complessità organizzativa) e ha vinto il prestigioso “Premio Alberto Madella 2015” per la ricerca applicata allo sport, istituito dalla Scuola dello Sport[1]. Le conclusioni dicono che la motivazione prevalente è legata agli incentivi solidali (solidary incentives) ovvero le interazioni sociali, l’identificarsi con un gruppo, fare rete. Segue la motivazione riferita agli incentivi intenzionali (purposive incentives), cioè il sentire di fare qualcosa di utile e contribuire all’evento, alla comunità e alla società: categoria che risulta la meglio correlata con l’intenzione di fare ancora, in futuro, volontariato sportivo in grandi eventi. Al terzo posto si colloca la motivazione legata a tradizioni esterne (external traditions) ovvero fare volontariato in un grande evento per tradizioni familiari o amicali. Meno significative invece sono le motivazioni collegate ad esperienze passate (past commitments) cioè, volte a sfruttare le proprie competenze ed esperienze passate. Lo studio ha evidenziato anche differenze di età e di genere.

Gli incentivi intenzionali aumentano con l’età; gli incentivi solidali sono i maggiormente significativi per i più giovani, tendono a diminuire fra i 40 e i 55 anni per poi riconsolidarsi dopo i 66 anni; le motivazioni legate al poter sfruttare le proprie competenze ed esperienze passate, come è intuitivo che sia, tendono ad aumentare con l’età. I più giovani sono motivati dalle opportunità che un grande evento sportivo offre loro in termini di interazioni sociali, per essere parte di un gruppo, fare rete. Gli incentivi solidali sono maggiormente significativi per la motivazione delle donne e, interessante, l’esperienza tende a sostenere l’acquisizione di stili di vita attivi da parte dei volontari non già sportivi praticanti. In attesa di nuovi studi a conferma o ampliamento della materia, i dati sono un contributo importante per buone pratiche di coinvolgimento e formazione da attuare nel programma volontari per i grandi eventi. Tuttavia, è bene ricordare che non è solo questo il quadro di riferimento in cui la figura del volontario si esaurisce e, infatti, è stata regolamentata dalla riforma sul lavoro sportivo entrata in vigore nel luglio 2023. Provvedimento controverso che però affronta, o cerca di farlo, il tema di quanto sia difficile portare avanti tutte le dimensioni di cui lo sport si compone dall’agonismo di alto livello scendendo fino all’educazione motoria scolastica o all’attività fisica in contesto extrascolastico e in tutte le declinazioni del diritto allo sport, così come sancito dall’art. 33 della Costituzione.

Lo studio sul “Modello sportivo europeo”[2]realizzato dalla Commissione europea, esprimendo preoccupazione per il declino del numero dei volontari causato da un peggioramento del welfare (perché per definizione è volontario chi svolge un’attività che non confligge con quella attraverso cui si sostiene economicamente) afferma che: “… È dimostrato che il ruolo dei volontari sia fondamentale per tutti gli sport. Vi è infatti chiara dipendenza da parte gli organismi sportivi sull’operato dei volontari, che rivestono un ruolo cruciale sia nella gestione dei circoli che degli organismi sportivi, sia nella gestione organizzativa di gare e competizioni a tutti i livelli. Lo sviluppo di programmi a supporto del mondo del volontariato risulta pertanto essenziale per sostenere questo importante pilastro del Modello Sportivo Europeo”. Se un’esperienza di volontariato sporadica seppure impegnativa, come la partecipazione all’organizzazione di un grande evento può essere realizzabile anche per soggetti che vivono in uno Stato con welfare inefficiente o inadeguato, non altrettanto può essere per coloro che, con il loro impegno volontario, permettono l’esistenza stessa dell’attività di base e degli organismi sportivi. Anche questa è una ragione per cui in Italia siamo ormai una terra divisa tra campioni, inquadrati in un regime professionale, e sedentari lasciati senza le opportunità che, un tempo, il volontariato permetteva di offrire.


[1] Autori: Camilla Trentin*: Collegio Didattico di Scienze Motorie, Università degli Studi di Verona, Verona; Francesca Vitali, PhD*: Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, Università degli Studi di Verona, Verona; Antonella Bellutti: Comitato Organizzatore dell’Universiade invernale Trentino 2013; Federico Schena, MD, PhD: Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, Università degli Studi di Verona, Verona.

[2] https://www.sportesalute.eu/images/studi-e-dati-dello-sport/schede/2022/90-study-europeansportmodel.pdf


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