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La nuova era dell’NBA

Il passaggio di Luka Dončić dai Dallas Mavericks ai Los Angeles Lakers rappresenta uno spartiacque nel sistema della pallacanestro statunitense

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di Roberto Gennari

BREAKING: The Dallas Mavericks are trading Luka Doncic, Maxi Kleber and Markieff Morris to the Los Angeles Lakers for Anthony Davis, Max Christie and a 2029 first-round pick, sources tell ESPN. Three-team deal that includes Utah.

Con questo tweet di Shams Charania, a oggi il più autorevole insider in tema di NBA, il 2 febbraio si è di fatto aperta una nuova era per la pallacanestro a stelle e strisce. Quella in cui uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi – secondo alcuni il più grande e stop – ma probabilmente prossimo a fine corsa, LeBron James (40 anni compiuti lo scorso 30 dicembre), si ritrova come compagno di squadra Luka Dončić, che compirà giusto domani 26 anni, miglior realizzatore del campionato nella stagione 2022-2023 a quasi 34 punti di media a partita, fresco di finali NBA (perse) coi suoi Dallas Mavericks e ormai da qualche anno stabilmente nelle conversazioni per il premio di MVP della Lega. Una trade che è stata un po’ un fulmine a ciel sereno, tanto che neanche gli stessi giocatori coinvolti sembravano saperne nulla finché non si è poi effettivamente finalizzata.

Si è aperta una nuova era perché non era praticamente mai successo che una squadra si privasse del suo elemento di gran lunga più rappresentativo – quello che in America chiamano il franchise player – per cederlo a una squadra che già dispone di uno dei giocatori più forti di sempre. E questo fatto è di per sé talmente nuovo da aver portato tutti i giocatori a sentirsi meno solidi nella propria posizione nelle rispettive squadre (in molti hanno dichiarato espressamente che se neanche Dončić a Dallas era al sicuro da una trade, allora nessun giocatore in tutta la NBA lo era), e costretto anche tutti gli addetti ai lavori a ragionare sulla trade usando parametri diversi da quanto fatto finora in casi di cessioni di mercato, oltretutto facendo passare totalmente in sordina altri movimenti di mercato non proprio minori (tipo Jimmy Butler, finalista NBA coi Miami Heat nel 2020 e nel 2023, che raggiunge Steph Curry ai Golden State Warriors, peraltro creando un fit tecnico pazzesco perché si uniscono uno dei migliori attaccanti della storia del gioco a quello che è di gran lunga uno dei difensori più tignosi del basket di oggi).

Gli analisti, sulla trade, hanno avuto pareri discordanti, per quanto riguarda il presente: da un lato c’era chi sosteneva che i Lakers disponessero di una varietà di soluzioni tattiche praticamente sconfinato, dall’altro chi diceva che i Mavs avessero finalmente acquisito quel lungo che gli era mancato, soprattutto come pericolosità nella metà campo offensiva; c’era anche chi sosteneva che potesse trattarsi di una situazione win-win, perché comunque Dallas aveva di fatto in parte risolto un dilemma tecnico-tattico, ossia quello di far convivere due giocatori abituati ad avere a lungo la palla in mano (Dončić e Irving), riuscendo contemporaneamente a rafforzarsi sotto canestro, mentre a Los Angeles arrivava finalmente quel giocatore in grado di sollevare LeBron James dal doversi occupare con continuità di playmaking, oltre a costituire un’alternativa importante anche in situazioni in cui bisogna prendersi un tiro pesante.

Infine, aspetto non trascurabile, con il trasferimento ad altra squadra si sarebbero risparmiati diversi soldini perché per entrambi i giocatori è cambiato il livello di massima offerta contrattuale che si può proporre loro. Il bello di queste opinioni è che sono tutte legittime e hanno tutte un senso tecnico, ma a nessuno, a mente fredda, è poi sfuggita l’enormità della cosa in sé: i Los Angeles Lakers, acquisendo Luka Dončić, si sono garantiti una continuità ad alto livello su tutti i fronti: tecnico, certo, ma anche mediatico. Perché lo sloveno è giocatore in grado di smuovere molto anche sul fronte social, in quanto ad oggi uno dei 2 o 3 giocatori più creativi che esistano sulla faccia della Terra, in grado di tirarti fuori la giocata perfetta per gli highlight, il gioco di prestigio, come suggerisce anche il suo soprannome, “Luka Magic”, che fa capire come il ragazzo si sia fatto conoscere anche oltreoceano. 

E come faceva giustamente notare La Giornata Tipo, gli effetti della partenza di Luka da Dallas si sono visti subito e in modo concreto e misurabile anche al di fuori del parquet. Tanto per citare qualche dato: Dallas ha dovuto rimborsare circa 8mila abbonamenti, dal prezzo medio di 2mila dollari l’uno, per un totale di 16 milioni di dollari; il valore generale della franchigia dei Mavs è passato da 4.7 miliardi di dollari a 4.4 miliardi, mentre quello dei Lakers è contestualmente cresciuto da 8.1 a 8.4 miliardi. Certo: il banco è poi saltato anche perché Anthony Davis si è infortunato alla sua prima partita in maglia Mavs (dovrebbe rientrare tra un mese circa), e allora a Dallas si è subito messo in moto un mezzo circo mediatico, anche abbastanza patetico se visto dal di fuori, volto a sminuire l’importanza della loro ormai ex stella: Dončić che si impegna poco in allenamento, che non riesce a tenere sotto controllo il proprio peso… Ma questo, pur essendo un tema che in effetti lo sloveno dovrà effettivamente affrontare prima o poi, come già ha fatto Nikola Jokić prima di lui, non è rilevante quando si parla di un proprio ex giocatore, che peraltro non è mai stato ripreso o sanzionato per scarso impegno o per non aver seguito un regime nutrizionale più rigoroso. Lo sappiamo tutti, e probabilmente anche lui in primis: Dončić con un giusto peso corporeo è potenzialmente un giocatore devastante – non che oggi non lo sia, diciamo che potrebbe esserlo ancora di più, ecco – perché potrebbe pagare meno pegno in difesa e al tempo stesso arrivare meno affaticato ai finali di partita: una combo che col suo amico serbo in forza ai Denver Nuggets (Jokić, per l’appunto) ha funzionato alla grande.

Ma riportiamo solo per un attimo la questione al suo aspetto più basilare, ossia al rettangolo di gioco: Luka Dončić non ha, comprensibilmente, nascosto la propria delusione nei confronti del management di Dallas per essere stato ceduto, individuando nel GM Nico Harrison il principale responsabile della faccenda. Delusione che, sia pure in modo più sfumato, traspariva anche dalle parole di Anthony Davis. Il calendario NBA aveva in programma la sfida tra i Lakers e i Mavs appena 15 giorni dopo la trade. E detto dell’assenza di AD in maglia Mavs, lo sloveno ha pensato bene di far parlare il campo, che in questi casi è sempre la miglior cosa: nella vittoria per 107-99 dei suoi gialloviola, Luka, in serata un po’ imprecisa al tiro, ha messo a referto 19 punti, 15 rimbalzi, 12 assist, 3 recuperi, 2 stoppate. Poi ha dichiarato, nell’intervista di fine partita, che avrebbe festeggiato “andando a dormire”, visto che la notte prima della partita non aveva chiuso occhio. Buon LakeShow a tutti, ne vedremo delle belle.


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