di Antonella Bellutti
Il 2025 non è partito nel migliore dei modi relativamente alla sicurezza stradale per le persone che usano la bicicletta. L’Osservatorio Ciclisti ASASP_SAPIDATA dice che, al 2 febbraio, sono stati registrati tredici decessi: tra essi anche quello di Sara Piffer, diciannovenne promessa del ciclismo azzurro che si allenava nelle strade di campagna del Trentino insieme al fratello, ciclista dilettante. Sono stati investiti da un signore in fase di sorpasso che non era ubriaco, né drogato, né al cellulare: ha invaso la corsia opposta e non ha lasciato loro una via di fuga. Un frontale: lei è morta sul colpo, il fratello si è salvato. Dopo la tragedia e le solite parole, mai adeguate, né per esprimere il dolore e nemmeno per abbozzare soluzioni, cosa resta?
Sembra che tutto continui a scivolare per inerzia nel solito ineluttabile incedere: in Italia il ritmo drammatico è di un investimento mortale ogni 1,7 giorni. Il codice della strada, di cui già a lungo si è parlato, la distanza di 1,5m in fase di sorpasso “là dove possibile”, sono ben poca cosa rispetto alla dimensione del problema.
L’ultimo report ACEA (Associazione Europea delle Case Automobilistiche) pubblicato in questi giorni dice che, nel 2023 in Europa, erano più di 249 milioni le auto in circolazione, in aumento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. La media europea dei veicoli circolanti per mille abitanti è di 563. L’Italia è prima in questa speciale classifica con 694 veicoli ogni mille abitanti e con trend in continua crescita. Allora i casi sono due: o il ciclismo come sport e l’uso della bicicletta come mezzo di viabilità leggera sono anacronistici e vanno aboliti perché pericolosi oppure si deve iniziare a pensare che, come per tutti i cambiamenti di massa, è necessario intervenire a livello educativo. Di decaloghi del bravo ciclista ligio e osservante ne esistono tante versioni ma da tempo sarebbe stato opportuno agire al contrario, dato l’enorme sbilanciamento di potere tra chi guida l’auto e chi la bicicletta.
Come disse Sara Piffer a suo padre che le raccomandava prudenza prima di uscire in quell’ultimo fatale allenamento: «noi stiamo attenti, speriamo lo siano anche gli altri». Non si può più aspettare o procrastinare, è giunto il momento di immaginare un percorso di consapevolezza da inserire all’interno di quello che porta al conseguimento della patente di circolazione. È necessario far crescere quella voce interiore che parli al conducente d’auto quando stanchezza, caos, stress, frustrazione tenderanno ad avere il sopravvento e a fargli dimenticare che la strada e condivisa anche con esseri umani che pedalano. Dieci comandamenti che potrebbero scaturire da dieci riflessioni tipo queste:
- Il ciclista non è sulla strada per fare un dispetto a te automobilista impaziente. Ricorda che il ciclismo è lo sport italiano, individuale che ha più associazioni sportive dopo il tennis (Report Coni_2022) per un totale di atleti tesserati per la Federazione che oggi è arrivato esattamente a 54.321. A differenza di qualsiasi altro sport agonistico ha però la strada come palestra: non a caso si chiama ciclismo su strada per distinguerlo dalla pista dal mtb e bmx;
- Il ciclista non sta sulla strada perché è sciocco e non vuole usare la ciclabile o non sa che c’è. Se esiste lo sa: chi si allena in bici non gira a caso ma sceglie dove andare in funzione dell’allenamento che deve fare. Tuttavia anche là dove le piste ciclabili o ciclovie esistono spesso sono promiscue (ciclopedonabili), frammentate, strette e rappresentano spazi incompatibili con le esigenze del ciclista agonista per via del chilometraggio quotidiano e la velocità degli allenamenti a cui si sottopone. Fermo restando che sarebbe interesse del ciclista poterne usufruire e pensare solo alla fatica da fare piuttosto che al traffico da evitare, usarle vorrebbe dire mettere comunque a repentaglio la propria vita e degli altri utenti non agonisti;
- Il ciclista non è cocciuto ma sta comunque sulla strada anche quando la pista ciclabile esiste e può essere utilizzata compatibilmente con le proprie esigenze: pochi fortunati hanno la ciclabile che passa sotto casa e dunque la normalità è che vada raggiunta e poi lasciata;
- Il ciclista non è irrispettoso: quando pedala su strada ed è da solo, è normale che cerchi di occupare dello spazio in più rispetto a quanto gli serve: non per innervosire gli automobilisti ma per avere un margine di sicurezza in caso di sbandamento dovuto a una buca, allo spostamento d’aria in fase di sorpasso da parte di mezzi pesanti o qualsiasi altro imprevisto;
- I ciclisti quando pedalano su strada in gruppo non lo fanno per chiacchierare: evitano di stare in fila indiana per lo stesso motivo di cui sopra. Formare un gruppo che occupa la careggiata offre maggiore visibilità di essere visti e costringe le macchine a frenare e a sorpassare solo là dove possibile;
- I ciclisti sono tanti: sono quelli che l’automobilista trova davanti a sé mentre guida ma sono anche quelli che procedono in senso contrario. Perciò, autista che vai di fretta, se decidi di sorpassare fallo quando puoi rispettare il metro e mezzo di sicurezza ma anche là dove, per farlo, non occupi tutta la careggiata opposta;
- Per lo stesso motivo, autista impaziente, se proprio devi sorpassare in una strada di campagna o secondaria, non occupare tutta la carreggiata opposta perché un ciclista potrebbe sbucare da una stradina secondaria;
- L’automobilista che va di fretta si deve ricordare bene che i ciclisti non vanno in autostrada né su raccordi autostradali e nemmeno sulle tangenziali. In tutte le altre strade rappresentano un rallentamento come i tanti altri che inevitabilmente si trovano lungo il proprio percorso: paesi, frazioni, semafori, cantieri, mezzi agricoli, rallentatori di traffico… Aspettare dietro a uno o più ciclisti il momento opportuno per un sorpasso non ha nessun impatto sulla durata totale del viaggio;
- Autista che sei arrivato a destinazione e hai anche già trovato parcheggio, prima di aprire la portiera usa gli specchietti e assicurati che non ci siano ciclisti in arrivo;
- Automobilista urbano, ricorda che usare la bicicletta è un’attività che fa bene alla salute, al pianeta e, negli spostamenti brevi, fa anche risparmiare tempo. Quindi oltre a cercare di usarla anche tu, cerca di rispettare chi lo fa. Ora le città stanno ricavando delle Bike-line, degli spazi in cui favorire la sicurezza della viabilità leggera: cerca di non parcheggiarci sopra e di non attraversarla senza dare la precedenza. Ma soprattutto, automobilista, ricordarti di non distrarti mai quando sei al volante perché la macchina uccide.
Pensieri in memoria di Sara e di tutte le persone che hanno perso la vita, investite mentre pedalavano, perché il loro sacrificio non sia stato vano.
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Antonella Bellutti vince la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e poi di Sydney 2000 in due differenti discipline del ciclismo su pista, dopo un infortunio che le blocca una promettente carriera nell’atletica leggera. Chiude l’agonismo con il settimo posto alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002, nel bob a 2, diventando così l’unica atleta italiana ad aver fatto parte della squadra nazionale assoluta di tre federazioni diverse e ad aver partecipato sia all’edizione estiva che invernale della manifestazione a cinque cerchi. Laurea in Scienze Motorie con molteplici esperienze di profilo tecnico, dirigenziale e didattico in ambito sportivo. Attivista per i diritti nello sport e per lo sport come diritto di cittadinanza.