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Nella monografia Buoni propositi pubblicata quasi due anni fa, avevamo affrontato il tema della ridistribuzione della ricchezza nello sport in generale e nel calcio in particolare: «… parliamo di gente che, al netto delle spese, ha messo al riparo da problemi diverse generazioni e può concedersi consumi voluttuari e lussi a volontà. Può sembrare un discorso di invidia sociale, ma a un certo punto sarebbe anche ora di iniziare a raccontare certi gesti non come mera filantropia, ma come rudimentali, poiché spesso contestuali e non strutturali, esperienze di redistribuzione. La ‘mozione Mata’ qui piace perché, in linea teorica almeno, mira a creare un fondo da tutti, anche se poi tra le intenzioni e la realizzazione passa tutta la differenza del mondo, così come ci piace anche il modo che ad esempio ha Sadio Mané, che l’indigenza l’ha conosciuta, di aiutare con continuità i suoi conterranei attraverso diversi progetti. Ci piacciono loro e tanti altri, principalmente quelli che sono consapevoli di essere degli assoluti privilegiati, ma qui non abbiamo bisogno di elenchi: tutto ciò che viene in qualche modo restituito conta e merita di essere valutato per l’importanza che ha, non essendo scontato». In questo caso, invece, abbiamo fatto un elenco, per quanto non esaustivo, dei calciatori che hanno deciso di impegnarsi per una buona causa e raccontato quello, Astutillo Malgioglio, che per questo ha pagato un prezzo alto, soprattutto come calciatore. Malgioglio per i più non è altro che una delle tante immagini da figurine Panini. Portiere professionista per circa quindici stagioni, la sua carriera è stata segnata più da quello che ha fatto fuori dal campo, oltre a essere passato alla storia come uno dei dodicesimi più interessanti della Serie A. A noi, qui, non interessa ripercorrerne la carriera sportiva, che potete trovare ovunque in Rete, ma raccontare quello che ha cercato di fare grazie ai soldi guadagnati con il calcio, pagando in prima persona e una premessa, riporteremo frasi e striscioni scorretti che gli sono stati ‘dedicati’ nella loro durezza e gravità, ci dispiace quindi per i lettori e le lettrici se sarà urtata la loro sensibilità, ma questo racconto altrimenti non avrebbe senso.
Piacentino di nascita è cresciuto nelle giovanili del San Lazzaro, poi in quelle di Cremonese e Bologna, ed è con i felsinei che fa il suo esordio da professionista. Nell’estete del 1977 passa al Brescia, la sua esperienza più importante, tanto che i tifosi lo hanno eletto portiere del secolo delle Rondinelle, dimostrandosi sempre un professionista esemplare. La sera di Natale di quell’anno, alcuni amici lo portano a fare visita a un centro per bambini cerebrolesi, Malgioglio, cattolico praticante, ci va con la fidanzata Raffaella e arriva l’illuminazione che gli ha cambiato la vita: «Mi impressionò la loro emarginazione, – ha raccontato a Il Fatto Quotidiano – l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro […] Parlai con Raffaella e decidemmo che non saremmo rimasti con le mani in mano. La vita n…