di Antonella Bellutti
L’ultima riflessione dell’anno, di solito, assomiglia a un bilancio. Tuttavia le statistiche su medaglie e successi preferisco lasciarle agli altri, io vorrei soffermarmi sui sentimenti. Non sulle emozioni di cui il 2024 sportivo è stato più che mai generoso, quelle sgorgano spontanee e lasciano il tempo che trovano: sono un regalo del sistema limbico, la parte più primitiva del cervello. Io invece vorrei far lavorare il lobo frontale e indugiare proprio su quel che resta quando le emozioni se ne vanno: i sentimenti appunto. Perché se la popolarità dello sport sta nella sua capacità di scatenare emozioni, il senso dello sport sta nel riflettere su quelle emozioni e interiorizzare il messaggio che portano.
Lo sport delle emozioni scivola via. Lo sport dei sentimenti la via la segna.
Le prime sono limitate, i secondi sono infiniti come le sfumature che ognuno può dare al proprio vissuto. Le emozioni fanno reagire, i sentimenti fanno agire. E allora, l’ultimo ‘sesto cerchio’ dell’anno lo voglio riempire di pensieri sparsi passando in rassegna la stagione sportiva che sta per concludersi, la più vittoriosa della storia, attraverso le emozioni, le primarie, le primordiali. Scegliendo un fatto per ogni emozione e una riflessione su ciò che ne è rimasto, a distanza di tempo. Una riflessione per abbozzare un sentimento, per tracciare un sentiero che congiunga la reazione all’azione. Come Pollicino e le sue molliche di pane, per non dimenticare cosa ci ha mosso e dove vogliamo che ci porti.
Dalla gioia alla gratitudine. Al primo posto nella mia speciale classifica della gioia c’è l’oro della Nazionale di volley alle Olimpiadi di Parigi. Un’emozione potente perché arrivata da una squadra, che nella condivisione sortisce l’effetto di moltiplicare la positività. La gioia dell’unico successo di un team azzurro, ottenuto da donne con un allenatore, Velasco, che non è un tecnico ma un filosofo capace di amplificare il concetto che lo sport è scienza ma anche il porsi domande a cui un giorno la vita risponde. Rielaborare quella gioia mi ha lasciato un profondo sentimento di gratitudine: ha tracciato una sorta di memoria del cuore con cui alimentare la fiducia nell’essere umano che sa credere nella bellezza di lavorare ogni giorno per un sogno. E così facendo, ha già vinto.
La tristezza anticamera della depressione. Il mio fatto più triste dell’anno sportivo è il contrasto tra l’Italia, terza potenza nel ranking mondiale delle discipline olimpiche e l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi OCSE con il 94,5% di giovani sedentari tra gli 11 e i 15 anni. Un quadro dipinto da un modello sportivo lacunoso, frammentato e per nulla sostenibile. Di quella tristezza restano delusione e frustrazione di dover assistere, con impotenza, all’assenza di soluzioni con la consapevolezza che una gioventù ferma è una gioventù che soffre. Secondo le stime dell’OMS, ansia, depressione e altri disturbi psichici saranno tra le principali patologie al mondo entro il 2030. L’associazione culturale pediatrica italiana afferma che, quelle psichiatriche, sono le malattie più diffuse tra bambini e adolescenti.
Paura e ansia. Dopo la recente intervista televisiva in cui Gianmarco Tamberi ha detto, per la prima volta esplicitamente, che avrebbe voluto giocare a basket piuttosto che saltare in alto, ho avuto la conferma che quella sua esuberanza, talvolta esagerata, fosse una valvola di sfogo per un conflitto interiore. Perciò, senza esitazione, scelgo il suo calcolo renale (in coincidenza dell’evento olimpico) come fatto dell’anno, emblematico della paura. Una sorta di somatizzazione della legge di Murphy secondo cui, se una cosa può andare storta lo farà. Quando l’allenamento quotidiano pesa, e lo si sopporta solo in relazione a un risultato, la paura di fallire diventa un’ossessione perché nulla di quello che fai ha senso senza il raggiungimento del traguardo ambito. Della disavventura di Gianmarco resta la certezza che la paura non solo è nemica della performance ma anche della salute. Vivere il presente, aspettando che sia il futuro a riempirlo di significato, è un calcolo che si blocca nei reni ma che nasce dall’ansia, oltre che dalla dieta.
Rabbia e la capacità di indignarsi. La rabbia dell’anno è legata alla parzialità del CIO e ai due pesi e due misure nei confronti degli atleti russi e israeliani. La cronaca recente, con l’allargamento del conflitto mediorientale verso Siria e Iran, conferma la leggerezza con cui il Comitato Olimpico Internazionale ha liquidato la richiesta di adeguamento. Di quella rabbia ora resta l’indignazione perché, ancora una volta, la neutralità dello sport dalla politica è uno strumento usato ad arte, quando e come conviene. Non ci sarà da meravigliarsi se, nel prossimo futuro, dai BRICS nascerà anche un antagonista del CIO e dei Giochi, figli di una nuova geopolitica.
Disgusto e disprezzo. Il disgusto provato in reazione all’onda d’odio che ha travolto la pugile algerina Imane Khelif, non ha paragoni con nessun altro mal-trattamento riservato, in passato, a una donna, atleta; nemmeno con Caster Semenya, sebbene vincitrice del suo ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Già perché è sempre il corpo delle donne a dover essere messo sotto indagine, vivisezionato dai commenti, taglienti come bisturi, degli endocrinologi a vista, dei detrattori della teoria del gender per sentito dire. Di quel disgusto ora resta il disprezzo per l’irresistibile e irrefrenabile populismo con cui, anche nello sport, si riducono fenomeni complessi in slogan sebbene, nel farlo, ci sia di mezzo un essere umano che viene ridotto anch’esso ma a brandelli.
Sorpresa e meraviglia. La sorpresa sportiva dell’anno è Jannik! Cioè, era un predestinato e non è una sorpresa che sia diventato il numero uno ma lo sono il modo e la velocità con cui si è affermato, con una popolarità senza eguali, con un pubblico che spazia fra tre generazioni, sui cinque continenti in ogni forma e sistema di comunicazione. Dalla sorpresa di questa affermazione, ora rimane l’interesse per un fenomeno che trascende lo sport. Di lui piace il suo senso del lavoro, della responsabilità, l’empatia, il rispetto, l’attenzione. Quell’aria naif con cui dice di sé: “non sono una persona importante so solo giocare bene a tennis!”. Ecco di Sinner dopo la sorpresa, mi rimane la meraviglia con cui si racconta e con cui, aiuta (o costringe a seconda dei punti di vista) anche la narrazione che gli altri hanno di sé stessi!
Quando le emozioni svaniscono ciò che resta, facciamo nostro, elaboriamo, lega indelebilmente i fatti che le hanno suscitate ai nostri obiettivi, all’arricchita consapevolezza con cui guardiamo alla vita e sfogliamo il nuovo calendario dell’anno che verrà. Sono i sentimenti, il ponte tra sistema limbico e cervelletto, tra passato e futuro, tra chi sono e chi voglio essere.
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Antonella Bellutti vince la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e poi di Sydney 2000 in due differenti discipline del ciclismo su pista, dopo un infortunio che le blocca una promettente carriera nell’atletica leggera. Chiude l’agonismo con il settimo posto alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002, nel bob a 2, diventando così l’unica atleta italiana ad aver fatto parte della squadra nazionale assoluta di tre federazioni diverse e ad aver partecipato sia all’edizione estiva che invernale della manifestazione a cinque cerchi. Laurea in Scienze Motorie con molteplici esperienze di profilo tecnico, dirigenziale e didattico in ambito sportivo. Attivista per i diritti nello sport e per lo sport come diritto di cittadinanza.