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EuroBasket 2025: opportunità o fastidio ulteriore?

Le qualificazioni al Campionato europeo, nella pallacanestro, non vengono disputate durante le “finestre per le nazionali” che siamo abituati a vedere nel calcio, ma a campionati, coppe e NBA tranquillamente in corso

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di Roberto Gennari

Il post de La Giornata Tipo sulla settimana di Toko Shengelia, faro e giocatore più talentuoso della nazionale della Georgia, ha riportato l’attenzione su un tema che nella pallacanestro europea somiglia sempre più alla “mucca nel corridoio” di Bersaniana memoria: un problema talmente evidente e sotto gli occhi di tutti, che diventa difficile per non dire impossibile ignorarlo.

Le qualificazioni al Campionato europeo, nella pallacanestro, non vengono disputate durante le “finestre per le nazionali” che siamo abituati a vedere nel calcio, ma a campionati, coppe e NBA tranquillamente in corso. Col risultato che a disputarsi l’accesso alla manifestazione continentale sono spesso nazionali sperimentali, o raffazzonate, con tutti gli aspetti negativi e positivi del caso.

Certo, nel caso degli azzurri la qualificazione era praticamente d’obbligo, in un girone da 4 squadre in cui ad avanzare alla fase finale erano le prime 3. Certo: il problema era lo stesso per tutti: l’Italia non poteva disporre di Fontecchio (impegnato in NBA coi Detroit Pistons), Spagnolo e Procida (entrambi in Eurolega con l’Alba Berlino, che peraltro aveva una rosa falcidiata dagli infortuni), ma la Turchia, oltretutto con la polemica in corso tra il coach della nazionale Ergin Ataman e il Fenerbahcedovuta a motivi calcistici (sic!), era forse ancor più rimaneggiata.

Il punto, casomai, è stato il come si è gestita questa situazione emergenziale. Da un lato si è potuto finalmente capire che c’è uno spiraglio di luce oltre Nicolò Melli, con l’ottimo esordio in azzurro di Grant Basile (ma non chiamatelo giovane, visto che ad aprile saranno 25 primavere per lui!). Dall’altro, ancora una volta si riscontra la classica – e a questo punto, verrebbe da dire, inestirpabile – idiosincrasia degli allenatori italiani verso i giovani o presunti tali. Prendiamo il caso Dame Sarr, ad esempio. Il nativo di Oderzo, classe 2006, prelevato dal Barcellona appena sedicenne, ha esordito prima in Eurolega coi blaugrana che in nazionale. E perfino in una partita dall’esito tutto sommato non rilevante come quella persa dagli azzurri contro l’Islanda a Reggio Emilia (nonostante la sconfitta è arrivata comunque la matematica qualificazione alla rassegna continentale), il nostro miglior 2006 ha giocato la bellezza di cinque minuti e cinquanta secondi. Minutaggi importanti, in una partita del genere, sono stati dati a Michele VitaliGiampaolo Ricci e Nicolò Melli (tutti e tre classe 1991), Marco Spissu e Nicola Akele (entrambi del 1995), Diego Flaccadori (1996) e Giordano Bortolani (2000). In pratica, si ritiene che in una partita dove si potrebbe lasciare qualcuno più “libero” di sbagliare, si schiera in campo una formazione che arriverebbe all’Europeo con un’età media di oltre trent’anni e in molti casi con una stagione logorante alle spalle, tra campionato e coppe

 Certo, a questa ossatura ci saranno da aggiungere anche Stefano Tonut (1993) Fontecchio (che comunque il prossimo anno viaggerà per i 30 anni), Procida e Spagnolo (rispettivamente 2002 e 2003, che giocano con continuità solo adesso che sono espatriati). Ma il problema di fondo, che ormai da anni è uno dei “mali incurabili” della pallacanestro nostrana a livello di nazionali, è che tornei del genere, vale a dire Europei, Mondiali e Olimpiadi, si giocano a ritmi serratissimi: gli europei avranno 5 partite in 7 giorni nella fase a gironi, più una partita ogni tre giorni nella fase a eliminazione diretta.

Che cosa significa questo? Che coi livelli di fisicità che ci sono nella pallacanestro di oggi, e con la velocità a cui il basket viene giocato, ci sarà bisogno di avere un contributo in campo da tutti e 12 i giocatori che verranno portati. Ovvio che nei momenti che scottano, nei possessi decisivi, sarà importante avere in campo Melli e Fontecchio, ma sarà ancor più importante averli in campo non a corto di fiato perché magari grazie a Sarr, a Basile, a Procida – solo per restare tra quelli nominati in questo pezzo – avranno potuto rifiatare e arrivare così più lucidi a giocarsi i finali di partita. Ma la mentalità non si cambia in un giorno, e del resto coach Pozzecco non ha mai fatto mistero di non trovarsi a suo agio con rotazioni troppo lunghe nelle proprie squadre. 

Resta un dato di fatto: l’Italbasket non vince la rassegna continentale dal 1999, non sale sul podio dal 2003 e nelle ultime quattro edizioni si è sempre fermata ai quarti di finale. In questo stesso lasso di tempo, la Spagna ha una striscia aperta di 11 partecipazioni consecutive almeno alle semifinali, con ben quattro successi all’attivo. E non è, non può essere una questione di generación dorada come è stato ad esempio per l’Argentina. C’è una diversa forma mentis, che fa sì che Ricky Rubio nel 2008 abbia giocato da titolare la finale olimpica. Che Luka Dončić, sloveno cresciuto nella cantera del Real Madrid, abbia esordito ad appena 16 anni nella massima divisione spagnola, vincendo il premio di MVP dell’Eurolega ad appena 19 anni. Che Matteo Spagnolo esordisca con il Real Madrid a 17 anni. Oltre al già citato Dame Sarr, anche lui esordiente in Liga ACB col Barcellona a 17 anni. 

Sembra passato un secolo da quel 7 luglio 2024 in cui l’Italia Under 17 ha portato a casa uno splendido argento ai Mondiali di categoria. Speriamo non passi un altro secolo, prima di vedere qualcuno di questi ragazzi esordire nelle categorie che contano, poter stare minuti veri in campo, sbagliare, imparare dai propri errori. Allora sì, potremo iniziare davvero a parlare di cambio di mentalità.


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