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L’eterno ritorno dell’identico

Giampiero Gasperini ha recentemente affermato che le maniere di giocare a calcio, in definitiva, non sono poi molte. Sono tantissimi, invece, i dettagli che in una partita possono fare la differenza: il compito di un bravo allenatore è proprio quello di lavorare con massima cura su questi

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di Guglielmo De Feis

Nella storia del calcio internazionale, da almeno cinquant’anni, si distinguono due diverse tipologie di allenatori. La prima categoria, che potremmo definire “conservatrice”, è rappresentata dall’allenatore “umanista”. Questo tipo di tecnico privilegia l’utilizzo delle scienze umane nel suo lavoro e nella gestione della squadra. Discipline come l’antropologia, la psicologia e la sociologia costituiscono le fondamenta del suo modus operandi.

La seconda categoria segue invece una tendenza “progressista” ed è incarnata dall’allenatore “scientifico”. Questo approccio si basa sull’impiego di tutte le risorse offerte dal progresso. L’allenatore sviluppa le proprie idee di gioco coerentemente con ciò che la sofisticata preparazione atletica e la nuova match analysis gli mettono a disposizione.

Se nel primo caso contano le relazioni socio-psicologiche dello spogliatoio, nel secondo – ad essere determinanti – sono soprattutto le idee e la loro attuazione metodica sul campo.

Lo svilimento della questione – ridotta al tema da dibattito calcistico televisivo “giochismo contro risultatismo” – non è servito ad altro che a produrre la solita divisione tribal-manichea con la quale riempire di futili chiacchiere i social media.

Se affrontata, invece, in maniera analitico-accademica, può probabilmente sia spiegare parte dei problemi del calcio italiano degli ultimi venti anni, sia fornire una solida piattaforma culturale per migliorarlo da adesso in avanti.

L’utilizzo della tecnologia all’interno del calcio deve necessariamente essere migliorato e questo a prescindere dal fatto che si sia progressisti o conservatori, giochisti o risultatisti.

Sia il VAR sia la match analysis devono essere utilizzati come strumenti al servizio dell’intelligenza e della discrezionalità umane, mentre al momento sembrano sfuggire entrambi al nostro controllo. L’eccessivo e invasivo uso del VAR in tutte le azioni più importanti di una partita di calcio hanno di fatto reso le aree di rigore delle zone nelle quali esiste uno spietato sistema di video sorveglianza, incapace però di distinguere tra autentiche vittime e semplici truffatori.

La match analysis invece viene utilizzata come se fosse una sorta di Prediction Machine perché ritenuta quasi capace di prevedere il futuro, analizzando perfettamente il passato.

La problematica comune sia nella metodologia scientifica sia in quella filosofica investe ora anche il calcio allorquando si cerca di spiegare un fenomeno quantitativo (explanandum) utilizzando un’interpretazione qualitativa (explanans).

L’explanandum (ciò che deve essere spiegato) anche nel calcio è un problema o un fenomeno definito in termini quantitativi, ovvero misurabile, preciso ed espresso in numeri e dati. E tutto questo grazie a – o per colpa della – match analysis.

L’explanans (ciò che fornisce la spiegazione) richiede invece un approccio qualitativo, ovvero che sia capace di interpretare il fenomeno (o risolvere il problema) in termine di concetti, descrizioni o giudizi in ogni caso non numerici.

L’evidente asimmetria tra explanandum ed explanans consiste nella differenza tra la precisione del problema da risolvere (quantitativo) e l’approccio generico con cui lo si affronta (qualitativo).

In pratica, mentre il problema quantitativo è “perfettamente definito” – nel senso che sappiamo esattamente di cosa si tratta o quali dati dobbiamo spiegare – ci si ritrova senza un’equivalemte “buona idea” su come risolverlo, perché gli strumenti qualitativi che si usano per spiegare il fenomeno possono non essere precisi o adeguati.

Nel calcio attuale c’è dunque una difficoltà metodologica: si ha un problema chiaro (misurabile grazie alla match analysis) ma non una spiegazione altrettanto chiara o risolutiva.

La match analysis, in definitiva, individua il problema in una sconfitta, ma non è in grado di dire né perché si è verificato né tantomeno come risolverlo.

Nella partita che domenica scorsa l’Italia ha perso in casa contro la Francia, a fronte di un explanandum quantitativo preciso (in sintesi: il punteggio di tre a uno, il possesso palla superiore della squadra sconfitta, il numero di passaggi più alto sempre da parte dell’Italia, e tutti i dati numerici praticamente uguali tra le due squadre) abbiamo un explanans qualitativo della sconfitta vago e indeterminato.

La spiegazione concettuale della partita persa può essere riassunta con “una scarsa concentrazione e un’inadeguata gestione emotiva dei momenti decisivi”. Purtroppo, però, questa non può essere in alcun modo ritenuta una spiegazione determinata e oggettiva, nemmeno prendendo in considerazione l’analisi empirica dei tre gol subiti su palla inattiva, da sempre ritenuti un indicatore di scarsa tenuta mentale.

Ecco allora che emerge in modo plastico l’asimmetria interpretativa tra il dato numerico oggettivo – che spiega tutto quello che è avvenuto in campo, meno i motivi della sconfitta – e la spiegazione soggettiva che invece cerca di comprenderli e spiegarli in maniera deduttiva, ma non possiede i dati numerici per essere convincente.

Solo attraverso un approccio veramente interdisciplinare – che integri rigore scientifico e sensibilità umanistica – la dialettica tra explanandum e explanans può trasformarsi da limite epistemologico a opportunità di comprensione più profonda della complessità del fenomeno calcistico.

Giampiero Gasperini ha recentemente affermato che le maniere di giocare a calcio, in definitiva, non sono poi molte. Sono tantissimi, invece, i dettagli che in una partita possono fare la differenza: il compito di un bravo allenatore è proprio quello di lavorare con massima cura su questi.

Il moderno Gasperini come i classici (i vecchi modelli da copiare) RoccoBearzotTrapattoniCapello Ancelotti, nell’“eterno ritorno dell’identico”. Nella storia come nel calcio.


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