di Antonella Bellutti
“Il colore viola è un film che resta una sfida, si discute ancora nelle università, ha lanciato con me la, oggi potente, Oprah Winfrey, ci ha aiutato a essere donne e nere, mai vittime. Credo però che il film non sarebbe mai uscito senza Spielberg”. Sono parole di Whoopi Goldberg, pseudonimo di Caryn Elaine Johnson, relativamente all’opera con cui diede il via, nell’ormai lontano 1985, alla sua straordinaria carriera. E, in una sola affermazione, concentra tre prospettive da cui guardare alla discriminazione di genere: come reagire, l’intersezionalità, l’alleanza degli uomini. Prospettive da lei tradotte anche in azioni, come testimonia il suo altrettanto lungo, potente e fruttuoso impegno da attivista.
Ed è un po’ al bivio tra l’attivismo e l’imprenditoria che, oggi la grande attrice ma anche cantante e conduttrice americana, è protagonista di una novità assoluta. Pochi giorni fa, durante un’apparizione al “The Tonight Show with Jimmy Fallon”, ha annunciato il lancio di AWSN (All Women Sports Network), il primo canale sportivo globale dedicato esclusivamente agli sport femminili.
La sua motivazione? Lo sport le è sempre piaciuto e lo vedeva praticare intorno a sé, in forma libera, nei playgrounds di New York, dove è nata e cresciuta, ma praticare no, non le era concesso. I maschi la escludevano e lei non lo ha mai dimenticato così, nel tempo, ha seguito il crescere dei successi sportivi femminili e l’intollerabile silenzio che li accompagna. Perciò AWSN offrirà dirette e differite da tutto il mondo, 24 ore su 24,7 giorni su 7 e sarà disponibile in 65 paesi (fonte SportsPro Media) con un unico, chiaro obiettivo: aggiustare lo squilibrio nella rappresentazione sportiva, vedere le atlete ottenere lo stesso riconoscimento degli atleti e togliere alibi alla sottoesposizione mediatica quale causa della disparità salariale.
Con AWSN, Goldberg concretizza nello sport quella prima prospettiva (come reagire?) da cui guardare alla discriminazione femminile nella nostra società, espressa nell’ intensa dichiarazione a proposito de “Il colore viola”. E lo fa proiettando sull’oggi il coraggio, la forza, la ribellione delle donne degli Stati del Sud degli inizi del Novecento. Dà un esempio virtuoso, perché non si può più reagire a parole: i negazionisti ti aspettano, pronti ad annientarti con l’accusa di vittimismo. Bisogna agire: è l’azione che rompe gli schemi. E spiazza! Così Whoopie ci insegna che se per le donne non c’è mai spazio, allora bisogna prenderselo. La storia insegna che i diritti non sono mai stati regalati dall’alto, bensì conquistati dal basso. Così pure la rappresentazione e la narrazione dello sport femminile non può sottostare ancora ai tempi e ai modi del modello patriarcale imperante, talmente radicato da essere banalmente, talvolta “involontariamente” ma troppo spesso malefico. A chi vuole etichettare l’impegno di Goldberg come un’inutile iniziativa da femminista radicale che mira a ghettizzare lo sport delle donne, risponde la notizia che, più o meno contemporaneamente a quella del lancio di ASWN, si diffondeva sui social di tutto il mondo. Jon Wertheim, giornalista di Tennis Channel, è stato licenziato dopo essersi “involontariamente” appunto, reso protagonista di un deplorevole episodio di bodyshaming nei confronti della campionessa di Wimbledon, Barbora Krejcikova. Questa volta l’oggetto dei commenti era la fronte della campionessa: troppo alta? Troppo vasta? No, semplicemente classificata come brutta, dimostrando che non c’è un pezzo del corpo che venga risparmiato dall’occhio sessista, maschilista. E ricordandoci che le donne, nello sport, sono oggetto due volte, perché devono performare e perché continuano a dover passare attraverso le forche caudine di uno spietato giudizio estetico.
La seconda prospettiva che Goldberg offre col progetto ASWN per guardare alla discriminazione di genere anche nello sport, è quella dell’intersezionalità. Il sovrapporsi di categorie A e B attraverso cui la realtà viene continuamente divisa, pesa sulle spalle delle donne che, alla discriminazione di genere, nello sport, devono aggiungere la gerarchia con cui il suo modello di gestione assegna valore alle diverse discipline. Mettere sullo stesso piano, calcio, volley o atletica con takewondoo, hockey su prato o pattinaggio a rotelle è un progetto che già di per sé sa di ribellione. Tutto troverà spazio nei palinsesti dell’All women sports network, purché le protagoniste siano donne. Non per fare discriminazione alla rovescia ma per dare opportunità a chi, a oggi, ha sempre dovuto mendicare e subire. Esagerato? Non ce n’è bisogno? Mentre ancora non si era spenta l’eco del lancio del nuovo AWSN, Striscia la notizia ci fa sapere che, nel quadriennio 2019-2023, quando Ludovica Mantovani ha ricoperto la carica di presidentessa della Divisione di Calcio Femminile, non ha mai percepito alcun compenso, mentre il suo pari grado maschile si. La risposta della FIGC è stata che le cariche sono ricoperte a titolo gratuito tranne quelle ritenute rilevanti.
La terza gradazione di viola delle prospettive da cui guardare al problema della sottorappresentazione offertaci dall’iniziativa ASWN, è quello dell’alleanza maschile. Perché hai voglia a decantare i Giochi Olimpici 2024 come quelli della parità raggiunta, dell’equità. La partecipazione in numero uguale di atleti maschi e femmine è stato un fatto importante ma tecnicamente semplice, agito attraverso regolamenti di selezione. Altra cosa è equilibrare nei differenti ruoli. Ad esempio la nazionale olimpica italiana è andata a Parigi con 449 accreditati ovvero dirigenti, tecnici, medici, uffici stampa. Le donne erano 71. Oltre ai già più volte ricordati 800 ruoli di presidente di federazione nazionale che, in oltre cento anni di storia dello sport italiano, sono sempre stati ricoperti esclusivamente da uomini tranne in 2 casi (quindi 2 su 800). Il soffitto di cristallo c’è ancora, nello sport forse più che altrove e in Italia, dove le donne i risultati li conquistano sul campo, pesa più che altrove. Grazie a Whopiee Goldberg, persona di successo che non ha dimenticato la fatica, l’ingiustizia di quel ruolo di Celie Harris, da cui non ha mai smesso completamente i panni: apre un varco che vorremmo tanto indirizzasse la via anche di qualche Spielberg di casa nostra!
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Antonella Bellutti vince la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e poi di Sydney 2000 in due differenti discipline del ciclismo su pista, dopo un infortunio che le blocca una promettente carriera nell’atletica leggera. Chiude l’agonismo con il settimo posto alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002, nel bob a 2, diventando così l’unica atleta italiana ad aver fatto parte della squadra nazionale assoluta di tre federazioni diverse e ad aver partecipato sia all’edizione estiva che invernale della manifestazione a cinque cerchi. Laurea in Scienze Motorie con molteplici esperienze di profilo tecnico, dirigenziale e didattico in ambito sportivo. Attivista per i diritti nello sport e per lo sport come diritto di cittadinanza.