Una primavera che diventa estate, una Casa del Popolo, un tv color, l’ultimo Mondiale e l’ultimo partito del vecchio mondo. Il racconto di una storia verosimile e mai accaduta. O forse sì*.
Quando il brusìo divenne chiasso, la frase più urbana che si potesse cogliere era il «c’at vegna un cancher» uscito dalla bocca di Valter. Il quale, come si conviene a un buon segretario di sezione, un funzionario intermedio fermo e autorevole, aveva gridato l’improperio reso immortale in una scena de Il compagno Don Camillo, ma non trascese nel turpiloquio o nelle bestemmie. Quelle arrivarono soprattutto dal tavolo accanto, dove quattro dei più assidui frequentatori del bar della Casa del Popolo seguivano la partita cenando a gnocco fritto, salumi e ciccioli, come ormai facevano ogni sabato e mercoledì da quando erano cominciati i Mondiali. Ma a provocare il diluvio blasfemo non era stata tanto la causa, il gol, quanto la sua conseguenza: uno dei commensali, nella foga, aveva urtato la caraffa di Lambrusco, rovesciando il prezioso liquido sulla tovaglia a quadri che copriva la tavolaccia al centro della sala. Sacrilegio.
(0-0, minuto 27: calcio d’angolo dal lato destro della difesa so…