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Atlete e madri, una corsa a ostacoli

Fra tutele generali (quelle dei gruppi sportivi militari) e sussidi importanti ma pressoché ignoti, il problema in Italia manca di una strutturazione organica

Tre donne, tre mamme, nel corso dell’estate sportiva che ci siamo da poco messi alle spalle, sono riuscite a dare visibilità mediatica a un tema, quello della maternità nello sport, che a livello di diritti ha ancora diversi passi da compiere. Arianna Errigo, Giulia Terzi e Jodie Grinham, sono loro le tre donne e mamme di cui sopra, e ci danno il pretesto, ancora oggi, di provare a rimettere al centro l’argomento, alimentando magari un dibattito – che quest’estate non c’è stato, intendiamoci, se non su qualche encomiabile testata – sempre utile. Errigo, Terzi e Grinham, si diceva: abbiamo visto le immagini della prima giocare con i figli all’interno dell’asilo allestito nel Villaggio olimpico, ci siamo emozionati per la seconda (che peraltro intervistammo tempo fa, nella nostra monografia sul movimento paralimpico), diventata mamma sei mesi fa e capace di tornare in vasca e vincere quattro medaglie alle Paralimpiadi parigine, e abbiamo scoperto la storia della terza, che ha gareggiato e vinto nell’arco compound paralimpico incinta di oltre sette mesi. Tutte storie che è sempre bello raccontare, ma che riguardano situazioni ex post. È il pre, invece, a essere ancora un problema.

Ne parlammo lo scorso marzo raccontando della calciatrice Alice Pignagnoli, ricordiamo tutti bene la storia della pallavolista Lara Lugli. Ebbene, a che punto siamo quando parliamo di gravidanza e diritti connessi, per quanto concerne le atlete?

Lo sport è un diritto? Forse…