Sostiene Luciano Spalletti di avere passato «un’estate bruttissima». Di sicuro, chissà quante volte gli saranno fischiate le orecchie, tra critiche – non certo immeritate – e richieste di dimissioni, comprensibili e anzi sacrosante le une e le altre, ma quando si siede sulla panchina della Nazionale si prendono oneri e onori e si devono sopportare i lamenti di 60 milioni di presunti colleghi, si sa. Tornando indietro di qualche settimana, all’eliminazione dagli Europei, riemergono i pianti, i lamenti e le intemerate di tutti coloro che – ohibò – si sono accorti che più di qualcosa, nel sistema italiano, non funziona. Poi però c’è stato il mercato, e nel frattempo è iniziato una nuova stagione. E la Nazionale? Ah, già. Vabbè, dai, si riprenderà.
Più o meno, si è ragionato così. Ne abbiamo lette (e pure scritte) di ogni, dopo l’Europeo: dal calcio che qui non si giocherebbe più nelle strade – come se altrove fosse la normalità – alle elucubrazioni tattiche di coloro che hanno il Verbo con la effe, dalla presenza di troppi stranieri all’incapacità di assecondare il talento irreggimentandolo negli schemi sin dalla più tenera età. Tutto vero, almeno parzialmente, in un quadro vasto e articolato, così come tutte le ipotesi per risistemare un movimento avrebbero in qualche modo un senso, ove possibili o sperimentabili. Solo che in quest’epoca in cui l’attenzione viene subito fagociata da altro, un mese dopo l’Europeo la eco di lai e strali era scemata, i cattivi sono diventati altri e così la nuova annata del pallone italiano è cominciata esattamente come era finita quella precedente, ovvero senza alcun cambiamento, né idea.