Tackle

La filosofia del calcio

Come tutte le grandi rassegne di calcio internazionale, anche l’Europeo di quest’anno sembra certificare un momento di passaggio culturale nella maniera di giocare

di Guglielmo De Feis

Qualche anno fa, Pep Guardiola pronunciò con un pizzico di vanità, molta fierezza e anche un po’ di malizia, quello che potrebbe essere considerato il manifesto del cosiddetto “calcio posizionale”. «I miei calciatori non devono andare a cercare la palla per il campo, devono aspettarla nelle loro posizioni perché ci penserà il gioco della squadra a fargliela arrivare», era la descrizione di quello che il suo Barcellona, il suo Bayern e il suo Manchester City avevano messo in pratica fino a quel momento, ma non più – e in questo consiste la malizia della frase – quello che le sue squadre avrebbero fatto da quel momento in avanti, quasi che Guardiola avesse voluto indicare subdolamente ai suoi avversari la strada sbagliata da seguire, al fine di sviarli.

Evidentemente non consapevoli dell’insegnamento degli investitori di borsa più avveduti (“compra sui rumors e vendi sulle notizie”), molti colleghi di Guardiola hanno deciso di copiare il suo calcio posizionale, proprio mentre lui lo aggiornava cambiandolo sostanzialmente.

Il calcio posizionale è stato, in definitiva, l’esasperazione del gioco a zona, con la disposizione in campo dei giocatori vincolata non solo in fase difensiva, ma anche – e forse, soprattutto – in fase di possesso palla. L’automatizzazione degli schemi, la ricerca della massima velocità, sia nel palleggio sia nel pressing, non sono stati null’altro che la conseguenza inevitabile per poter prevalere su avversari che conoscevano ormai sempre le posizioni e i movimenti delle squadre organizzate secondo il vecchio modello di Guardiola.

I dogmi dello spazio da attaccare (in luogo del centravanti) e dei passaggi corti in rapida successione (per poter avanzare in modo compatto e armonioso) sono diventati ben presto di dominio …