Nemmeno William Shakespeare sarebbe riuscito a costruire una trama come quella della finale di Champions League del 2005 a Istanbul tra Milan e Liverpool, allo stadio Atatürk; un viaggio dell’eroe al contrario se vista dalla prospettiva rossonera. L’unica finale persa da Carlo Ancelotti, il quale ha sempre detto che quella sarebbe stata, con la vittoria finale, la più bella di tutte quelle che lo hanno visto protagonista. Disamina sulla quale siamo d’accordo. Il Milan del primo tempo, infatti, il suo gioco, la qualità dei passaggi, il pressing e il dominio sull’avversario sarebbero da fare vedere e rivedere in tutte le scuole calcio e nei corsi per allenatori; superiore a qualsiasi altra squadra degli ultimi quarant’anni. Eppure è finita in tragedia, sportiva ovviamente.
C’è un Milan nel primo tempo, un Liverpool nel secondo, i supplementari nei quali Shevchenko sfiora il 4-3, sarebbe stato epico, e i rigori, con Dudek irridente e paratutto, che ha ricordato il Grobbelaar dell’84. Ed è davvero difficile, anche a distanza di tempo, diciannove anni, comprendere quello che può essere accaduto nella testa, nel cuore e nel fisico dei milanisti capaci di buttare via una vittoria che sembrava in cassaforte, il blackout tra la prima e la seconda frazione di gara, il vuoto durante i calci di rigore, mentre dall’altra parte c’era stata una resurrezione incredibile, inaspettata, imprevedibile.
Pronti via e capitan Maldini segna l’1-0, poi verso la fine, nel giro di sei minuti, Crespo segna una doppietta, con Pirlo e Kakà in cattedra in mezzo al campo. C’è solo una squadra, c’è solo un gioco, c’è solo un allenatore. Si va al riposo convinti, milanisti…