Sebbene non ci sia nulla di voluto in tutto questo, l’immagine che Euro 2024 proietta su Euro 2020 (la rassegna che si svolse nel 2021 e fu vinta dall’Italia) è, dal punto di vista geografico, decisamente più ristretta. Sembra quasi l’abbandono dell’idea di un Europeo veramente europeo, inteso come internazionale e largo nei confini, per una versione quasi novecentesca. Lo ribadiamo: si parla di geografia, ma attenzione, perché il punto è esattamente questo. Questioni interne, come la scelta dell’organizzatore e il risultato delle qualificazioni, ed esterne, come le guerre che hanno inciso anche sulla presenza di alcune nazioni (anzi: la guerra, perché le guerre sono diverse, ma non tutte, sotto l’aspetto sportivo, hanno vissuto il medesimo destino): mettete tutto insieme, ed ecco l’Europeo che segna la fine del sogno europeo.
Messa così l’affermazione appare piuttosto provocatoria, ma in certe provocazioni si nascondono alcune verità. La prima: Euro 2020, quello figlio della visione di Michel Platini, il primo itinerante, quello capace di regalare a diverse federazioni (13 in teoria, 11 in pratica a causa dei postumi della pandemia) un’organizzazione condivisa, sebbene più complessa, quello filosoficamente dell’Europa unita dal calcio, ha rappresentato un unicum. La seconda: nonostante un’organizzazione e una calendarizzazione che si sono dovute scontrare con l’imprevisto più incredibile, appunto la pandemia da Covid-19, Euro 2020 ha funzionato, e pure bene, anche perché non ha impattato in maniera troppo significativa su nessuna nazione (neppure sul Belgio, dove la proposta costruzione di un nuovo stadio a Bruxelles, l’Eurostadium, non si è mai concretizzata). La terza: distruggere le (buone) idee dei predecessori è uno dei comportamenti classici dei monarchi successivi, specie se particolarmente…