Ne abbiamo fatto un termine quasi dispregiativo, nel parlato comune. Lontano dalla sua accezione originaria, e anche da quella specifica relativa agli spettacoli circensi, che hanno una loro tradizione, una loro storia e una loro grammatica, degne di rispetto: il termine circo è sostanzialmente diventato, nello sport come nel quotidiano, sinonimo di baracconata. Dopo tutto, anche noi, temporibus illis, abbiamo intitolato una monografia dedicata alla Figc “Circo federale”, segno evidente che il termine quello denota, ormai. Eppure, storicamente, la parola circo è strettamente collegata allo sport, essendone stato il luogo per eccellenza.
Treccani lo definisce un «edificio a pianta allungata, con uno dei lati brevi semicircolare e l’altro rettilineo, destinato, nel mondo romano, alle corse dei carri, alle lotte dei gladiatori e, in genere, a spettacoli di massa; era costituito da una parte centrale (arena) circondata da gradinate riservate agli spettatori», e risalendo al latino, alla definizione che ne dà il Castiglioni-Mariotti, ecco che circus, oltre a significare cerchio, circolo, orbita, è appunto il «circo utilizzato per le corse dei cavalli o dei cocchi» e, per metonimia, «gli spettatori del circo», laddove si svolgevano i ludi circenses, insomma i circenses di Giovenale, una delle aspirazioni della plebe, il momento di libertà e senza pensieri, assieme al panem.