di Nicola Sbetti
Come è ormai tradizione dall’inizio di questo millennio, gli ultimi mesi dell’inverno segnano il gradito ritorno del Sei nazioni, il prestigioso torneo annuale di rugby a cui, senza essere mai riusciti a vincerlo, gli azzurri partecipano dal 2000 e le azzurre dal 2007. Sabato 3 febbraio allo Stadio olimpico di Roma la nazionale maschile, dopo aver chiuso in vantaggio il primo tempo, si è dovuta arrendere per 27 a 24 contro l’Inghilterra. Se questa prima uscita post-Mondiale, sembra comunque lasciare ben sperare per quel che riguarda il nuovo ciclo degli azzurri guidati Gonzalo Quesada, le note dolenti sono invece arrivate dal commento della partita andato in onda in chiaro su TV8.
Niente di clamoroso, s’intenda, abbiamo già scritto in questa rubrica di quanto la storia dello sport stia, solo ora e a fatica, emergendo in Italia. Però, da questo punto di vista, non è certo una bella notizia dover ascoltare dei giornalisti professionisti affermare che il rugby sia nato nel 1823 quando William Webb Ellis durante una partita di football nel college di Rugby prese il pallone con le mani.
Ora, che questa storiella sia da decenni il mito fondante del rugby è cosa nota, al punto che persino il trofeo della Coppa del mondo maschile è titolato alla memoria di Webb Ellis, ma per l’appunto di mito si tratta. Per citare il prologo del libro di Tony Collins, Social history of rugby: «Di quel poco che si sa su William Webb Ellis, di una cosa possiamo essere sicuri: non ha inventato il rugby». Senza scomodare lavori accademici in inglese, persino la pessima voce in italiano a lui dedicata su Wikipedia sostiene che Webb Ellis è solo «conven…