Ieri, 12 gennaio, con la partita Qatar-Libano ha preso il via la diciottesima edizione della Coppa d’Asia, manifestazione che il Paese del Golfo ospita per la terza volta nella sua storia. La prima nel 1988, vinta dall’Arabia Saudita ai rigori contro la Corea del Sud, la seconda nel 2011, vinta dal Giappone contro l’Australia per 1-0, e adesso questa, da campione in carica, avendola vinta nel 2019 in finale contro i giapponesi, battuti 3-1. Cinque città e nove stadi, uno in più della Coppa del Mondo: si giocherà ancora ad Al Khor, Al Rayyan, Al Wakrah, Doha e Lusail; sette impianti saranno gli stessi del Mondiale ma con capacità ridotte, non sarà impiegato il 974 – che avrebbe dovuto essere smontato dopo Qatar 2022 e invece è ancora lì – mentre saranno utilizzati il Thani bin Jassim di Al Rayyan (15mila posti) e l’Abdullah bin Khalifa, da soli 10mila, di Doha.
Ogni torneo continentale è una cartina tornasole dello stato del calcio e se una volta certe manifestazioni erano snobbate dai media occidentali adesso che il football è un fenomeno globale, oltre il concetto di campo per il quale lo è sempre stato, è impossibile non puntare i fari su un continente che nel 2034 ospiterà il suo terzo Mondiale, dopo Corea del Sud-Giappone e Qatar. Le teste di serie, Arabia Saudita, Australia, Corea del Sud, Giappone, Iran e Qatar, appunto, sono già una prima risposta a cosa ci dobbiamo aspettare in attesa di qualche sorpresa e con un portato politico non indifferente viste le presenze di Palestina, Iran, Libano, Siria e Giordania, tra le altre.
Su cosa, invece, sia stato