Tackle

Fenomenologia dei terzi

Una volta erano i dodicesimi, oggi è il terzo portiere che ricopre quel ruolo, dentro e fuori lo spogliatoio, saltuariamente anche in campo

di Nicola Calzaretta

Mirante, participio presente del verbo mirare. Che, tra i vari significati, ha anche quello di ammirare con sentimento, guardare meravigliato, osservare attentamente, lo dice la Treccani. Omen nomen, verrebbe da dire pensando all’esperto Antonio, nato a Castellammare di Stabia, l’8 luglio 1983, di professione portiere del Milan. Terzo nella gerarchia, dietro al titolare Mike Maignan, e alla sua prima alternativa Marco Sportiello. Se ne sta lì, seduto in panchina. Mirante. Tifando per i compagni, meravigliandosi per le prodezze dei colleghi, scrutando i risvolti tattici della gara.

Questa la sorte del terzo portiere. Podio anche per lui, ma si deve accontentare del bronzo. Un destino cinico, forse. Ma non baro. Il suo “non esserci” è connaturato alla specie, così come accaduto fino a una trentina di anni fa al classico secondo portiere, spesso l’eterna riserva che non giocava mai, infagottato nella tuta d’ordinanza stile pigiamone alla SuperPippo, con i colori sociali e il nome della squadra sul davanti e con la zip all’altezza delle caviglie. Una vita vissuta all’ombra della luce. Panchina molta, campo poco, uomo-spogliatoio per eccellenza e il presidente, in combutta con l’allenatore, che gli allungava felice il contratto, con premi parificati a quelli dei titolari.

Una figura imprescindibile, oggi incarnata per l’appunto dal terzo portiere, l’evoluzione del romantico “dodicesimo” dei tempi andati. Che di fatto non esiste più. Non solo perché il “12” – come qualunque altro numero – oggi può finire sulle spalle di chiunque, ma soprattutto perché è ormai …