Partita di calcio a 5, un campionato FIGC regionale. Scontro frontale portiere pivot: impatto violento, con il primo che cade di spalle in maniera altrettanto violenta. Fa male anche solo a vederla, si percepisce.
Non si rialza.
È immobile.
Panico.
Sono secondi, e fanno paura. Un medico non c’è, in tanti per fortuna sanno cosa fare, ma fra le teoria e la pratica c’è un abisso quando le cose accadono. Il soccorso immediato è stato quello giusto. Ma solo perché, per fortuna, non era un arresto cardiaco.
È successo circa un anno fa. Chi scrive era in panchina, non come atleta ma come dirigente tesserato: ebbene, quei secondi sono stati eterni, e non solo per la conoscenza con la persona coinvolta, né perché era la prima volta che una situazione del genere, in campo, capitava direttamente sotto i miei occhi; no: quei secondi sono stati eterni proprio perché, in anni di giornalismo, le morti di sport sono state una costante. Sembra strano dirlo, perché in realtà sembra una cosa rarissima, e in effetti sui grandi numeri è tale, eppure nell’archivio della mente c’è una Spoon River di fatalità, incidenti e tragedie che, a metterle in fila, fa spavento e potrebbe apparentemente smentire l’assunto di cui sopra, ovvero la rarità. Perché, comunque, sono sempre troppe, e ciò non è contemplato, nell’idea dello sport che è sinonimo di vita.
D’altronde, quando un atleta muore in gara, si fa leva sull’emotività, perché gli eroi – quelli sono nell’immaginario collettivo – son …