Identità Da “caso Nazionale”, considerato irrispettoso per avere rifiutato la convocazione a Bologna in settembre, a eroe d’Italia, è un attimo, anzi due mesi. Prima per certa stampa Sinner era un egoista altoatesino, poi è diventato (l’epinicio è di Giancarlo Dotto) «Maccarone boy, uno dei nostri», accarezzato nel «ventre materno» di Casa Italia, che “ha fatto sua una bandiera, non per dovere anagrafico ma per convinzione” perché «la seduzione di Jannik è diventata giorno dopo giorno micidiale nel suo essere nostro, nel suo scoprirsi definitivamente ‘italiano’, senza esserlo davvero completamente, nostro e italiano». Insomma: anni e anni di discussioni sull’identità, sul suo non essere univoca e sul suo essere puramente un fatto personale, buttati nell’immondezzaio della retorica patriottica, peraltro senza senso. Ecco: di uno come Sinner c’è da essere orgogliosi, che vesta l’azzurro è una lieta meraviglia, ma urge tenere presente che la sua identità sono solamente affari suoi e non deve nulla a nessuno. Soprattutto agli olimpionici di salto sul carro.
Futuro Il futuro di Jannik Sinner, come singolo, e della Nazionale italiana di tennis è ancora tutto da decifrare, perché in questo sport non tutte le stagioni sono uguali e restare ai vertici è la cosa più difficile, in qualsiasi disciplina. Futuro numero 1? Altre coppe Davis? Vittorie negli Slam? Vedremo. Due cose sono certe. La prima: non potendo andare indietro ai tempi di Panatta e neppure prima, non abbiamo mai visto un italiano giocare così, non solo nello stile, ma anche nel carattere e nella lucidità nei momenti più difficili. Sinner è capace di uscire da situazioni intricate con una serenità pazzesca, o almeno è quello che lascia intravedere e che, sicuramente, pesa anche sugli avversari che se lo trovano di fronte: nel tennis, la psicologia conta, e un sorriso può essere anche un ghigno. La seconda: