di Roberto Gennari
Le parole di Noah Lyles, durante il Mondiale di atletica, hanno riacceso un dibattito ormai abbastanza annoso sulla definizione di autoproclamati “World Champions” che, non senza una certa sicumera, le squadre sportive a stelle e strisce usano per i team che vincono i campionati, soprattutto nel baseball e nel basket. Con reazioni abbastanza piccate, anzi di scherno, da parte di molti giocatori della NBA, come riportato in un post de La Giornata Tipo. Oltretutto, per quanto riguarda la definizione di “campioni del mondo”, già nel 2010 Gregg Popovich, allenatore dei San Antonio Spurs cinque volte campione NBA e medaglia d’oro agli ultimi Giochi Olimpici di Tokyo, aveva espresso sostanzialmente lo stesso concetto: «La Spagna è Campione del Mondo, gli USA sono campioni olimpici, i Lakers sono campioni NBA. Non ricordo di nessuno che abbia giocato fuori dai nostri confini per ottenere questa etichetta».
Questo in realtà non è del tutto vero, però: tra il 1987 e il 1999, in effetti, FIBA e NBA con la sponsorizzazione di una nota catena di fast food americana, organizzarono ben nove edizioni di un torneo a inviti che vedeva sfidarsi una squadra NBA (nelle ultime tre edizioni, la squadra campione NBA in carica) e le migliori squadre europee, sia nazionali che di club. Peraltro, con quasi sempre una rappresentante del campionato italiano. Le squadre NBA, in questo contesto, che dopo le prime edizioni un po’ pionieristiche era praticamente un Mondiale per Club ante litteram, si sono portate a casa abbastanza agevolmente 8 edizioni su 9, faticando solo in quella del 1991 che vide i Lakers prevalere di soli 2 punti sulla Joventut Badalona, fino alla sospensione del torneo con l’ultima edizione che si disputò al Forum di Assago e che vide primeggiare i San Antonio Spurs di un ancora giovanissimo ma già fenomenale Tim Duncan.
Oltretutto, …