di Guglielmo De Feis
La contemporanea presenza nei quarti di finale della Champions League di tre squadre italiane ha inevitabilmente portato il dibattito calcistico a un’analisi nei minimi dettagli di tutto ciò che riguardava Napoli, Milan e Inter, durante il loro percorso europeo. Paradossalmente – dal momento che si stava parlando della più importante competizione al mondo per club – la discussione verteva sulla possibilità che almeno due delle tre squadre italiane (Milan e Inter, quelle al momento fuori dai primi quattro posti in campionato) sacrificassero una parte delle loro chance nella competizione europea allo scopo di non vanificare, nel campionato in corso, l’eventuale qualificazione alla Champions League del prossimo anno. Il paradosso in pratica consisteva nel fatto di considerare più importante la qualificazione alla Champions del prossimo anno, rispetto alla potenziale vittoria in quella che si stava svolgendo.
Il potere del calcio è probabilmente sempre consistito nell’essere un perfetto mix di emozioni e razionalità, con la partita che diventa l’apoteosi della soddisfazione – al tempo stesso – dell’istinto naturale (quasi animale) e della cultura popolare (quasi folkloristica).
In questo contesto, la razionalità poteva essere un freno al fanatismo, con la sua capacità di conciliare l’attaccamento a una tradizione e a un luogo – quello tipico di un tifoso – con l’apertura mentale di un’analisi senza pregiudizi della partita e basata sul merito sportivo e sull’estetica calcistica (caratteristiche dell’appassionato). In pratica, l’amore per il calcio doveva essere considerato gerarchicamente superiore a quello per la propria squadra, frenando – in questo modo – culturalmente e razionalmente gli istinti emotivi e tribali dei tifosi.
Forse a causa dell’eccesso di dati, statistiche, numeri e probabilità – quelli che sono stati riversati sul pubblico sottoforma di “data visualiza…