Un miliardo di dollari. È questo il capitale che nel 2020 Cristiano Ronaldo ha raggiunto, tra stipendi, sponsor, social media e attività commerciali griffate con il suo marchio: CR7; primo calciatore, a memoria, a trasformare sé stesso in un brand, copiato poi dai più forti che l’hanno seguito su questa strada. Sempre nel 2020 i suoi guadagni hanno raggiunto i 105 milioni di dollari. Cifre e indicatori economici strettamente legati al campo, o meglio, al suo stare in campo, al suo essere un calciatore, uno dei più fori della propria generazione e di tutti i tempi. Dove il confine tra l’una e l’altra cosa svanisce nel momento della sua iconica esultanza, sottolineata da un grido a metà tra il selvaggio e lo scampato pericolo.
E a rileggere a ritroso la sua storia viene il dubbio se per raccontarlo al meglio serva più un trattato economico o uno psicologico, soprattutto se guardiamo alla sua ossessione: dall’allenamento al campo, dalle vittorie al brand, dove, appunto, tutto è strettamente legato.
Sarebbe troppo facile mettere Cristiano Ronaldo nel cassetto della solitudine dei numeri primi, ma chi ne ha raccontato le gesta lo ha descritto così. La madre cuoca in una scuola elementare, una gravidanza non desiderata – quella di CR7 – ma portata comunque a termine, le umili origini. Poi il calcio e il trasferimento dall’isola di Madeira a Lisbona, sponda Sporting, anche se lui è sempre stato tifoso del Benfica. Un’adolescenza complicata per il suo aspetto, per il suo modo di parlare, per le sue origini, continuamente nascoste, tanto da dover affrontare il bullismo di compagni di scuola, che poi abbandonerà, e…