focus_1Monografia

Redistribuzione

Lo sport business ha arricchito a dismisura migliaia di atleti che si sono fatti belli con la beneficenza. Proviamo a vedere le cose da un’altra prospettiva

Premessa: questo è un articolo ideologico e vagamente moralistico; l’importante è esserne consapevoli. Vale dunque la pena fare un rapido excursus sulla genesi di questa monografia. Quando, forse per spirito natalizio, abbiamo scelto di dedicare la monografia del 24 dicembre a sport e solidarietà, l’idea iniziale era quella di raccontare alcune vicende specifiche – come quella che ha per frontman Juan Mata – e ricavare da esse tutto ciò che c’è di buono, poi però ci siamo resi conto che sarebbe stato poco più che un elenco di cose risapute e siamo tornati sui nostri passi. Il taglio attuale, tuttavia, è figlio di un articolo che abbiamo letto sul Corriere della Sera, non per l’articolo in sé (si parlava di tutt’altro), ma per alcune righe che ci hanno chiarito le idee. Queste…

Chi lo conosce (Cristiano Ronaldo, ndr) dice che è una persona molto dolce e generosa. Certo è un narciso, innamorato di sé. Anche quando fa beneficenza, il suo ego è la misura di tutte le cose. Vede un bambino con la maglia numero 7 in un villaggio in Indonesia distrutto da un maremoto, chiama il suo agente e dice al suo agente “presto, dobbiamo costruire un villaggio nuovo”. Vede la mamma guarita dal cancro e dice “presto, dobbiamo costruire un centro oncologico”. Prende il Covid: “Presto, dobbiamo regalare posti in terapia intensiva”

L’articolo, scritto dopo l’eliminazione del Portogallo dal Mondiale, è di Aldo Cazzullo e parla di Cristiano Ronaldo, è sicuramente interessante per diversi spunti ma qui a

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.