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Il Mondiale dell’ipocrisia

La narrazione di questa edizione ha toccato livelli intollerabili

di Nicola Sbetti

Domenica la finale fra Argentina e Francia concluderà la 22° edizione dei Mondiali di calcio maschili. Prima di avanzare qualsiasi giudizio che correrebbe inevitabilmente il rischio di essere affettato, sarebbe senz’altro opportuno attendere almeno la conclusione dell’evento e se non addirittura lasciarlo storicizzare. Ciononostante se a oggi mi si chiedesse un titolo per descrivere cosa sia stato Qatar 2022 non avrei dubbi: «Il Mondiale dell’ipocrisia».

Chi legge regolarmente questa rubrica già sa che qui non si considera l’ipocrisia in maniera esclusivamente negativa. Anzi l’ipocrisia delle istituzioni sportive internazionali come la FIFA, le quali, pur svolgendo un ruolo eminentemente politico, sostengono che il loro mondo debba restare politicamente neutrale, è per certi versi necessaria alla sopravvivenza del sistema stesso. Pur rappresentando un’utopia, il riferimento ideologico all’apoliticità dello sport è infatti decisivo per creare un terreno neutrale nel quale anche i rappresentanti di Paesi rivali e persino di quelli senza relazioni diplomatiche ufficiali possono incontrarsi nel nome di tanto vaghi, quanto condivisi “valori dello sport”.

Un certo livello di ipocrisia, quindi, non solo è accettabile ma è addirittura auspicabile affinché il sistema sportivo internazionale possa mantenere la propria unità e universalità. Eppure la narrazione di questo Mondiale ha toccato livelli di ipocrisia tali da risultarmi intollerabili. Approfitto qu…