Il quotidiano inglese The Guardian nei giorni scorsi ha scritto che durante la Coppa del Mondo, che inizierà tra meno di un mese in Qatar, alle televisioni saranno vietate le riprese degli alloggi dove vivono i lavoratori migranti, negli edifici governativi, nelle università, nei luoghi di culto, negli ospedali, oltre che quelle di zone residenziali e aziende private; insomma tutto ciò che sarà fuori dalla definizione «Coppa del Mondo di calcio». Queste restrizioni farebbero parte di un elenco di condizioni che i network devono accettare nel momento in cui richiedono alle autorità locali il permesso di catturare immagini e/o fotografie, divieti estesi ai fotografi ma non ai giornalisti della carta stampata, dato che non filmano le interviste; questa ci pare una considerazione agée, visto che oggi tutti fanno tutto e i colleghi dei quotidiani lavorano, quasi sempre, anche per i siti Internet degli stessi.
Il comitato organizzatore ha, ovviamente negato, di imporre restrizioni, considerate «agghiaccianti» dai media occidentali, e ricordando che diversi media hanno sede nel Paese del Golfo, nel quale svolgono il proprio lavoro senza interferenze. Affermando, inoltre, di avere aggiornato le ‘restrizioni’.
Ma le ‘nuove’ regole, se da una parte garantirebbero le riprese in tutto il Qatar, dall’altra ribadirebbero le restrizioni su cosa e chi riprendere, per evitare, in modo particolare che si raccontino le condizioni dei lavoratori e della comunità LGBTQIA+.
E la FIFA? Fa sapere che, ovviamente, sta lavorando con il comitato organizzatore per garantire le migliori condizioni di lavoro possibili ai media che racconteranno il Mondiale.