Lo abbiamo accennato nell’ultimo Stielike, che saremmo tornati sull’argomento dell’addio di Roger Federer allo sport, ed eccoci qua. Nella nostra monografia dedicata al tennis, L’erba voglio, il collega Alessandro Mastroluca, sintetizzava così il periodo che abbiamo vissuto: «Djokovic, Federer, Murray e Nadal hanno fatto e fanno un’altra cosa, sia in termini di appeal che di qualità sportiva e tecnica. Hanno portato il tennis in un’altra dimensione, irraggiungibile e insostenibile per tutti gli altri che hanno provato a contrastarli. Credo che sarà un periodo difficile da replicare, anche perché, pensando a Federer-Nadal, è stata la prima rivalità compiuta vissuta in epoca social, neanche le sfide tra Agassi e Sampras hanno raggiunto tali livelli di affezione. C’è stata una polarizzazione senza precedenti se parliamo solo di tennis, sono partite le curve e la partigianeria ha raggiunto i livelli del tifo calcistico».
Ripetiamo: «C’è stata una polarizzazione senza precedenti se parliamo solo di tennis, sono partite le curve e la partigianeria ha raggiunto i livelli del tifo calcistico».
E ne siamo ben coscienti, visto che a un certo punto, in Italia, i fan dello svizzero sono stati definiti, spregiativamente, federasti, con quella violenza verbale che solo certi colleghi sanno esprimere, non solo prendendo parte – tutti noi giornalisti sportivi abbiamo delle preferenze e tifiamo anche, tutto dipende se lo facciamo con la penna in mano o nella solitudine dei nostri salotti, differenza abnorme –, ma volendo etichettare in modo estremamente negativo chi non la pensava come loro. Scriveva uno di questi: «C’è stato un momento in cui ho pensato che mi sarei trovato d’accordo non dico con i federasti – non esageriamo: è più facile che rida alle battute di Leonardo Manera – ma con gli eterni feticisti della nicchia: quelli che, di fronte all’ennesima Djokovic-Nadal, mettevano le mani avanti e dic…