Sui campi, in pista, in strada. Negli spogliatoi: siamo lo sport che facciamo. Noi, certo, ma anche e soprattutto la nostra società, e del resto non c’è altro come lo sport – nemmeno più la politica, a quanto pare da questi ultimi giorni prima delle elezioni – a rivelarsi così rilevante nella nostra vita associativa e nel nostro tempo libero. Sport inteso non sempre e non solo come pratica, ma come visione, chiacchiera, incontro, scontro perfino.
C’è molto della cultura e della storia di un Paese in quelli che sono considerati sport nazionali, pur tenendo presente che lo sport di massa e quello professionistico hanno una radice tardo Ottocentesca e Novecentesca, e che pertanto siano un fenomeno che racconta principalmente gli ideali delle società di allora, sebbene si siano evoluti – il termine “evoluzione” non è inteso qui in senso darwiniano, ma cronologico – nel tempo rincorrendo il mutamento di modelli e paradigmi di riferimento. Magari non ce ne rendiamo conto, e allora serve lo sguardo di Usbek e Rica, i viaggiatori delle Lettere persiane di Montesquieu, il nostro mondo visto con gli occhi, e con le strutture e sovrastrutture, di altri. In questa monografia i nostri Usbek e Rica sono rispettivamente Nicola Sbetti per il cricket in India e Roberto Gotta per il football americano negli States, ma più in generale vale la pena anche citare John Foot, che la storia sociale del calcio italiano l’ha raccontata dalla sua prospetti…