di Nicola Sbetti
Lo scorso 11 settembre la nazionale italiana di pallavolo maschile, dopo 24 anni di astinenza, ha conquistato il suo quarto titolo mondiale assoluto. Non c’è dubbio che il principale artefice di questo successo sia l’allenatore Fefè de Giorgi, capace di operare un radicale ed efficace cambio generazionale costruendo la squadra attorno al talento di Giannelli, responsabilizzato capitano, e di rinunciare ai senatori ormai logori per lanciare giovani dal sicuro avvenire come Michieletto, Lavia, Galassi, Russo e Romanò. La scommessa ha pagato immediatamente visto che, oltre al titolo mondiale di qualche giorno fa, lo scorso anno i “ragazzi terribili” di De Giorgi avevano conquistato ancor più a sorpresa l’oro europeo.
Le ragioni di un simile trionfo però sono molteplici e non è nostra intenzione provare qui a sviscerarle tutte. Inoltre, se si considera che la nazionale femminile è al momento vicecampione mondiale e campione europea in carica, che le nazionali giovanili ottengono da anni eccezionali risultati e che i campionati italiani, sia quello maschile sia quello femminile, sono fra i più competitivi al mondo, possiamo serenamente certificare che il movimento della pallavolo in Italia goda di ottima salute.
Eppure, questo predominio che non si è ancora mai concretizzato in una medaglia olimpica, è tutto sommato recente e si può far risalire agli ultimi 35 anni. Al contrario della maggioranza delle discipline sportive italiane, che hanno in Italia una tradizione che va ben oltre al secolo di vita, la storia della pallavolo nella nostra penisola è piuttosto recente. L’ha ricostruita Daniele Serapiglia in un bel saggio pubblicato per Clueb nel 2018 dal titolo: