focus_2Monografia

Epica etica etnica pathos

Non è ancora il momento di recitare il de profundis per quello che, un tempo, in Italia era lo sport popolare per eccellenza. Perché il ciclismo esplora ancora grandezza e dolore come pochi altri

I’n rivan mai, non arrivano mai. L’ho sentito dire più volte qualche settimana fa, quando il Giro d’Italia è passato dalle mie parti (pianura, strade, fossi, gruppo compatto: 38 secondi ed è tutto finito), da astanti sul cui interesse per il ciclismo non avrei scommesso nulla. Eppure erano lì da qualche ora. I’n rivan mai. Traducetela nella lingua o nel dialetto che conoscete, infarcitela di inflessioni più o meno spurie, piazzatela in pianura sotto il sole o sulle rampe di qualche salita: è la frase classica del bordo strada, quando si attendono i ciclisti – nelle corse a tappe, soprattutto – stando nemmeno troppo attenti al cronoprogramma, perché bisogna innanzitutto accaparrarsi i posti migliori, e armarsi di pazienza, sbuffando qua e là.