Ha vinto, sì e tanto, e ha segnato un’epoca. Non solo per le vittorie, però, perché José Mourinho detta l’agenda calcistico-mediatica ormai da quasi vent’anni, e questo prescinde dai successi. Fondamentali, certo, decisivi per l’allure del tecnico eppure, se Mourinho è Mourinho, lo si deve anche e soprattutto a un processo di costruzione dell’immagine che l’ha reso di gran lunga l’allenatore più riconoscibile del mondo. Anche se alcuni suoi colleghi hanno vinto di più, anche se gli stessi, magari, hanno alle spalle anche carriere di prestigio sul campo. Mourinho no, ma di Mourinho ce n’è uno solo. Per fortuna, perché due sarebbero troppi. Abbiamo voluto così raccontarlo anche attraverso un vocabolario minimo.
Alpha. Nell’etologia applicata al calcio, già elaborata da Desmond Morris, Mourinho è il maschio alpha, ed è seguendo questo concetto che si possono spiegare non tanto e non solo la sua attitudine, quanto quella di coloro che gli stanno intorno, a qualsiasi titolo. Il portoghese conosce il ruolo e ne applica gli schemi, nel linguaggio verbale e non verbale. Non è un caso, peraltro, che proprio di Mourinho sia la prefazione alle edizioni più recenti di The Soccer Tribe.
Barcellona. Come la criptonite per Superman, i colori blaugrana a Mourinho fanno lo stesso effetto, ma più che fargli perdere la forza gli fanno perdere la pazienza e gli scatenano la voglia di rivincita, come accaduto nel 2010 nella semifinale di Champions League. Allenare quella squadra era il suo sogno, nemmeno troppo nascosto. Ma il gran rifiuto ricevuto è un’onta che può essere lavata solo sul campo: da una parte disistima e poi odio, dall’altra finta indifferenza. Mes que un club non ha nien…