Si brontola quasi sempre, genitori e atleti, spesso poi ci si arrabbia pure perché si deve pagare per qualche esame, perché i tempi del pubblico sono biblici e l’alternativa, quasi un obbligo, diventa il privato. Un discorso vero, attenzione, ma un discorso altro rispetto a quello che stiamo per fare perché, se c’è una cosa della quale si può andare fieri nel rapporto tra l’Italia e lo sport agonistico, è che qui esiste una regolamentazione più stringente che in gran parte degli altri paesi europei per ottenere l’idoneità. Sebbene non possa essere una garanzia rispetto alle disgrazie (e non riguardi l’attività amatoriale, il grande punto scoperto), è uno di quegli strumenti di medicina preventiva che dev’essere considerato un patrimonio. Vale la pena approfondirne storia e attualità, perché troppo spesso le cose intelligenti non fanno clamore o, addirittura, rischiano di avere cattiva stampa.
Prima di passare alla storia, uno sguardo all’attualità. La normativa in questo momento è figlia del Decreto Balduzzi (2012) e delle successive modificazioni che hanno definito l’assetto al panorama dei certificati medici per l’attività sportiva. Pertanto, tenendo da parte l’attività ludico-motoria (il cui certificato è facoltativo, a seguito del decreto Lorenzin dell’agosto 2014), l’idoneità oggi è fondamentalmente di due tipologie: si può ottenere il rilascio del certificato di idoneità sportiva non agonistica, rivolto a tutti coloro che praticano sport a livello amatoriale, ricreativo o che intendono iniziare a praticarlo, oppure il rilascio del certificato di idoneità sportiva agonistica, necessario per tutti gli atleti agonisti, professionisti e non. Per il rilascio del certificato di idoneità sportiva non agonistica la visita prevede da parte dei medici una raccolta anamnestica, la misurazione della pressione arteriosa, le rilevazioni antropometriche e l’elettrocardiogramma a ripo…