L’idea non è buona, ma di più. Ha fascino, è tutto sommato abbastanza ben organizzata e particolarmente evocativa, e già questo è un segno inequivocabile che riporta alla sua genesi, avvenuta nelle riunioni di un’associazione dilettantistica – tecnicamente una s.c.s.d., società cooperativa sportiva dilettantistica – e non certo nei consessi di presunta solennità della Figc né, meno che mai, della Lega di Serie A. Ci si riferisce qui, ovviamente, alla proposta di riforma della Coppa Italia – che proprio il 2 aprile festeggia i cent’anni dalla prima partita, e li porta malissimo – avanzata dal Centro Storico Lebowski, realtà originale e che ha qualcosa da dire, una proposta che ha avuto ampia eco sui social e pure, incredibile dictu, sui media. Una proposta in stile FA Cup che ci piace e che noi sottoscriveremmo. Anche se sappiamo che in Italia non potrebbe mai funzionare. E che, in fondo, non ce la meritiamo neppure. Perché?
Iscritte tutte le squadre del panorama federale, sorteggio integrale, gara unica in campo della squadra di livello inferiore, tabellone da un certo punto della competizione. Appunto: firmeremmo subito. La realtà però ci pone già al cospetto di alcuni problemi. Prima di tutto è necessario circoscrivere il campo alle specificità geografiche. Come la seconda e più precisa proposta del Lebowski riconosce («mediazione preventiva», l’hanno giustamente definita), sarebbe necessaria una prima fase in cui si procederebbe per prossimità geografica, con le big a entrare in gioco dai trentaduesimi di finale. Ora, posto che per big per quanto ci riguarda potrebbero giocare già dal primo turno, da un lato la prima fase regionale, chiamiamola così, limita la filosofia stessa dell’apertura totale, dall’altro non sarebbe in fondo troppo diversa dalle varie coppe di categoria che esistono ora e che spesso vengono snobbate dalle stesse società. Le quali, sicuramente, potrebbero essere incentivate dalla prospetti…